Per una cultura dei diritti

di Francesca Chiavacci, Presidente Nazionale ARCI

Mancano poche ore alla manifestazione indetta dalla Cgil a Roma per criticare l’impostazione che sta guidando tutta la vicenda del Jobs act.

Il sistema dei media si concentrerà quasi certamente sul confronto tra l’entità numerica della presenza in piazza nella capitale e sulla forza attrattiva che conserva la kermesse fiorentina ideata dal presidente del consiglio.

Ma sappiamo che la questione in gioco è molto più profonda del mero calcolo dell’affluenza a un evento.

Al centro della discussione c’è il punto di vista con cui si vuole interpretare questo delicato passaggio della società italiana.

Per noi dell’l’Arci, esiste un punto fondamentale su cui tutto il ragionamento proposto dal governo sulla riforma del mercato del lavoro é fortemente deficitario. Ed é una questione culturale di fondo.

La lotta alla disoccupazione e alla precarietà non può essere impostata sulla riduzione delle tutele e sull’imputazione delle responsabilità per la mancata estensione dei diritti a chi non li ha alle organizzazioni di rappresentanza sociale dei lavoratori e delle lavoratrici (ed in particolare ad una di queste organizzazione).

 

 

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Certo, é evidente che esiste un’urgenza di rinnovamento e di cambiamento del mondo della sinistra italiana e del movimento sindacale, del loro modo di interpretare e di rappresentare i mutamenti. Ma questo non può essere posto a fondamento nè di un nuovo mercato del lavoro e di un nuovo sistema dei licenziamenti che arretrano rispetto alle tutele universali, nè come strumento di una vulgata che rende la rappresentanza sociale fastidioso intralcio.

 

Crisi, disuguaglianze, precarietà, in questi anni, sono state generate non dall’esistenza di diritti o di organizzazioni di sinistra e di movimenti. Bensì da una visione del sistema economico che ha prediletto il gioco della finanza e della scommessa sui soldi, a scapito del lavoro e dell’uguaglianza dei diritti.

 

A mancare é stata una diffusa cultura dei diritti, dell’uguaglianza, della democrazia, della redistribuzione della ricchezza. E siamo convinti che non saranno nè i clamori mediatici, né le contrapposizioni sul vecchio e sul nuovo, nè l’attrazione per un leader a farci uscire dalla crisi dell’economia e a ridurre la distanza tra cittadini, politica e istituzioni.

 

La più grande sfida del nostro paese, come abbiamo scritto nel nostro documento di adesione alla manifestazione del 25 ottobre, é proprio quella di sostenere e far crescere una condivisa cultura dei diritti e della democrazia, come chiavi innanzitutto per dare fiato alla ricostruzione di un’etica civica fondata su solidarietà, coesione, partecipazione.

 

È la più importante sfida che riguarda il nostro paese. È una sfida a cui una grande associazione culturale come l’Arci non solo non può sottrarsi, ma in cui deve svolgere coerentemente un ruolo da protagonista.