Diamo voce all’Europa dei diritti e della solidarietà

Di Filippo Miraglia, vicepresidente nazionale Arci.

L’Unione Europea è una delle tante mete dei flussi migratori, ma non la principale. Va ricordato infatti che sia le persone in cerca di lavoro che quelle in cerca di protezione si spostano soprattutto nelle zone vicine ai loro Paesi d’origine. Così la maggior parte dei profughi siriani sono ospitati nei campi di Libano, Giordania e Turchia. E i somali in fuga dalla guerra civile che dura da decenni sono in gran parte in Kenya e nei Paesi limitrofi. Se si confrontano il PIL dei paesi ospitanti e la percentuale di profughi accolti emerge con chiarezza che ad accogliere sono soprattutto i Paesi più poveri. Eppure in questi giorni le dichiarazioni dei rappresentanti delle istituzioni europee e dei governi nazionali sembrano rispondere a una condizione di stress dell’Europa senza precedenti e del tutto anomala nel panorama mondiale. Non è così, ed è bene ripeterlo. Tanto meno è così per l’Italia, che ha accolto circa 64mila domande nel 2014 (e molte saranno probabilmente anche nel 2015), un numero importante ma limitato se paragonato all’impatto dei flussi straordinari in paesi e aree intorno al mediterraneo. Guardando sempre alle cifre risulta ridicolo quindi pensare che con 20mila arrivi nell’ambito del reinsediamento l’Europa possa risolvere il problema dell’accoglienza. L’unica novità positiva sembrerebbe l’introduzione di una proposta di condivisione dell’accoglienza dei rifugiati che potrebbe far presagire l’intento di andare verso una politica unitaria sul diritto d’asilo. Tuttavia anche questo elemento sembra dettato dalla necessità di una risposta straordinaria per il grande afflusso di richiedenti ‘protezione internazionale’, più che dall’esigenza di una politica comune e di una strategia di lungo periodo. La risposta dell’UE è dunque ancora una volta costruita intorno alla retorica dell’invasione, all’esigenza di arrestare i flussi, contrastando le organizzazioni criminali che lucrano sul business dei viaggi. Nell’Agenda europea sull’immigrazione presentata ieri dalla Commissione, si nota un’enfasi straordinaria sulla necessità di bloccare i flussi emergenziali. Così come sulla necessità di combattere gli scafisti. Non una parola però su come le persone possano arrivare in sicurezza in Europa, sulla necessità di un intervento strutturato e stabile di ricerca e salvataggio che, in qualsiasi scenario futuro, sarà comunque indispensabile. L’Agenda europea mette al centro delle sue priorità un intervento in Libia, che continua ad essere il crocevia dei flussi migratori perché è l’unico Paese dove l’Europa non è riuscita a bloccare le partenze. Possibile che questa sia la principale preoccupazione dei governi dell’Ue? Dove sono finiti i principi della Carta di Nizza, quelli sanciti dalle varie Costituzioni, quelli contenuti nella dichiarazione universale dei diritti umani? Cercare di bloccare in Libia i profughi provenienti da Siria, Somalia, Eritrea, Afganistan o Nigeria, oltre a rappresentare una lesione del diritto internazionale, non fermerà i flussi. Renderà solo più difficile attraversare il mediterraneo. Una delle conseguenze dell’Agenda europea per l’immigrazione sarà una ulteriore esternalizzazione delle frontiere, ossia il trasferimento della nostra responsabilità internazionale in materia d’asilo ai Paesi dell’Africa e del Medio oriente. Col conseguente abbassamento del livello di protezione di tutti quei gruppi, e sono la maggioranza, che fanno parte dei flussi straordinari provenienti da zone di conflitto. Se per politica comune europea sull’immigrazione si intende il comune intento dei governi europei di tenere lontani i profughi dalle nostre frontiere, magari spacciando l’esternalizzazione come lotta alla criminalità, non c’è proprio niente di cui essere soddisfatti. Sarà quindi indispensabile nelle prossime settimane mettere in campo una mobilitazione forte della società civile europea e del mediterraneo, per contrastare queste scelte miopi e sbagliate e far sentire la voce dell’Europa dei diritti e della solidarietà.