Noi non capitoleremo davanti alla paura

Di Jean-Michel Ducomte presidente della Ligue de l’Enseignement.

Gli attentanti che hanno colpito la Francia risvegliano il doloroso ricordo di quelli che, lo scorso gennaio, avevano preso di mira Charlie Hebdo e il supermercato chacher di Vincennes. La stessa disumanità, lo stesso fine di annientare ciò che ci ha trasformato in uomini e donne libere, amanti della vita, della cultura, del dialogo, avversari di dogmi e conformismi, attori di una democrazia che alimentiamo dei nostri dibattiti. Niente giustifica il fatto che si possano assassinare uomini e donne solo perché vivono, ridono e fanno ciò che amano. L’inno alla morte intonato dagli assassini ci rende fratelli delle vittime e delle loro famiglie. Ogni vittima vive in noi perché apparteniamo alla stessa umanità. Nel mese di gennaio gli assassini perseguivano due tipi di obiettivi. Quelli che rivendicavano e quelli che sarebbero risultati dallo stupore che avrebbe colto l’opinione pubblica. In primis imbavagliare la libertà di espressione, assassinando chi derideva la loro visione oscurantista della religione, utilizzata come scusa della loro deriva criminale. Inoltre placare, una volta ancora, il loro antisemitismo. C’era anche l’obiettivo di creare una frattura nella comunità nazionale, alimentando il sospetto sull’incapacità dei nostri concittadini di religione musulmana di essere in toto attori del patto repubblicano. Infine di obbligare la democrazia ad abbandonare una parte delle garanzie che offre – a rinnegarsi in qualche modo – imponendo, in nome della sicurezza, un rafforzamento degli strumenti repressivi. Il 13 novembre gli assassini hanno voluto annientare la libertà di vivere, divertirsi, stare insieme. Una tipologia di vita, una civilizzazione della libertà mossa dalla consapevolezza della complessità di ciò che ci circonda e da una volontà emancipatrice. Non solo non rinunceremo a niente di tutto questo, ma faremo di tutto per annientare la logica assassina e l’ideologia che la sostiene. Vigileremo perché questa esigenza di resistenza non comporti il sacrificio dei principi democratici e dello Stato di Diritto, altrimenti gli assassini avrebbero vinto. Alcune strumentalizzazioni politiche si sono già manifestate. I limiti della correttezza sono stati a volte superati da derive fascistizzanti che invocano l’espulsione dei musulmani o l’apertura dei campi d’internamento di sinistra memoria. Queste posizioni sono minoritarie. Dobbiamo vigilare perchè restino tali. Non possiamo esimerci da un’analisi delle cause della tragedia né da una riflessione sulle soluzioni che ne evitino il ripetersi. Conviene innanzitutto denunciare, perché già si manifesta, il pericolo dell’amalgama. Gli assassini non sono dei rifugiati, come vorrebbero far credere coloro che tentano di usare il dramma che abbiamo vissuto per rivedere il diritto d’asilo. La maggioranza sono cittadini francesi. Far passare i nostri concittadini di confessione musulmana come responsabili o conniventi della deriva terrorista ci renderebbe complici di quei criminali, perché se prevalesse una logica stigmatizzante faremmo il loro gioco. La religione musulmana ha gli stessi diritti delle altre religioni. Questo non ci deve impedire di vedere ciò che succede nelle prigioni o in certi quartieri di relegazione sociale, dove degli imam, portatori di un progetto integrista e criminale, alimentano l’odio e trasformano in terroristi dei piccoli delinquenti. Bisognerà che i musulmani si impegnino in una pratica volontaria di organizzazione di rappresentanza della loro religione ed esprimano chiaramente la loro condanna degli attentati e dei loro autori. Dobbiamo rivedere il nostro atteggiamento nei confronti dei dittatori del Golfo e della Turchia di Erdogan, pronti a finanziare il terrorismo. È necessario un incitamento forte al riconoscimento della dignità del popolo palestinese, riconoscendogli la possibilità di vivere all’interno delle frontiere definite a livello internazionale. Anche se questo è responsabilità dei poteri pubblici e della società internazionale, una presa di coscienza militante può aiutare a favorire il passaggio dalle parole agli atti. Ma se tutto ciò è importante, ciò che è essenziale è la riappropriazione consapevole da parte di tutti i cittadini delle esigenze di cui è portatrice la cultura repubblicana. Bisogna poi avere il coraggio di constatare che l’esistenza di quartieri di ghettizzazione sociale, che riguardano sempre le stesse categorie di popolazione, costituisce un ostacolo alla trasmissione dei valori comuni, perché questa condizione può sviluppare la tendenza a chiusure comunitarie e a tentazioni di rivalsa. «La Repubblica deve essere laica e sociale, ma resterà laica perché avrà saputo essere sociale» scriveva Jaurés. Questa frase non è mai stata cosi attuale. Non è pensabile continuare con i richiami alla responsabilizzazione verso coloro che la Repubblica non è stata in grado di trattare degnamente. Cosa vale la promessa repubblicana di un trattamento egualitario se il colore della pelle, la povertà, l’appartenenza religiosa possono determinare la relegazione sociale? Chiedere a queste persone di dimostrare per principio un attaccamento ai valori repubblicani é soprattutto un errore politico. Quante generazioni ci vorranno ancora, per quelli sottomessi ad una logica dell’abbandono, prima che la Repubblica si svegli? Le iniziative che mirano ad un insegnamento laico della morale, che la Ligue de l’Enseignement ha reclamato e approva, costituiscono una prima indispensabile risposta. Ma è necessario che i valori insegnati non siano delle parole vuote e che siano seguite da atti politici forti. E’inoltre importante che parallelamente ciascuno, qualunque sia la sua provenienza e i suoi riferimenti culturali o religiosi, possa avere la sensazione di essere compreso dai suoi concittadini di convinzioni o cultura diversa. Questo deve essere lo scopo dell’insegnamento del fenomeno religioso. Sola allora potremo dare la qualificazione politica che meritano agli atti di criminali che sono stati commessi da terroristi che coprono il fascismo di una giustificazione religiosa, ridotta a una ideologia inumana.