Sull’intervento in Libia il governo frena, ma fino a quando?

Di Franco Uda coordinatore nazionale Arci Pace, solidarietà e cooperazione internazionale

«I am not that I play», sembra ben adattarsi anche all’attualità politica questa celebre battuta che William Shakespeare metteva in bocca a Viola nella commedia La dodicesima notte, evidenziando la divaricazione tra la realtà in sé e la parte che ciascuno interpreta nella propria vita. Siamo infatti nel bel mezzo di una partita a scacchi tra il Governo e l’opinione pubblica del nostro Paese, fatta di abili mosse di tattica mediatica, di stop-andgo repentini, in cui i diversi protagonisti del Governo alternano dichiarazioni e ruoli che sembrano, di volta in volta, voler parlare a porzioni differenti della società. L’oggetto è la Missione libica, che comporta il ruolo dell’Italia nello scacchiere mediterraneo e la spartizione delle ingenti risorse petrolifere di quella parte del nord Africa. Il Premier, prudente come non mai, insiste nel suo gettare acqua su un fuoco acceso dalla Ministra della difesa in versione sturm und drang, quando accennò alla possibilità di inviare truppe di terra italiane in Libia. Anche il Ministro degli esteri interpreta un ruolo rassicurante, sia verso il Parlamento che nei confronti dell’opinione pubblica, nel discorso pronunciato recentemente alla Camera. Apprezzabile, anche se di fatto non smentisce l’improvvida uscita della sua collega alla Difesa, così come non chiarisce il mandato agli 007 contenuto in un decreto secretato e ‘dimentica’ di citare contestualmente, insieme al 52, l’art. 11 della Carta Costituzionale. Vorremmo essere maggiormente tranquilli e rassicurati dopo l’intervento del Ministro alla Camera, vorremmo poter pensare che i venti di guerra hanno ceduto il passo a una calma di pace, vorremmo poter pensare che il ruolo che il nostro Paese vuole giocare nel Mediterraneo sia più vicino a quello di un pontiere diplomatico piuttosto che di capofila di nuove e incerte avventure coloniali. Quello che sembra chiaro è che, nella situazione data, non vi sarà alcun intervento internazionale; quello che preoccupa è come potrà cambiare questa posizione in presenza di uno scenario differente. Come reagirebbe, infatti, la comunità internazionale (e l’Italia) a una richiesta d’intervento del Governo unitario libico? Siamo davvero convinti che i governi di Tobruk – eterodiretto dagli egiziani – e di Tripoli siano realmente rappresentativi di quella miriade di comunità, tribù e aggregati urbani della Libia? L’ipotesi di tripartire il territorio del Paese è in qualche modo connesso a una spartizione tra multinazionali di bandiera (Total, Bp, Eni) delle sue risorse petrolifere? Nel mentre la società civile ha messo insieme oltre 50 organizzazioni che, in una sorta di mobilitazione preventiva, chiedono al Governo non solo di non prendere in considerazione – in nessun caso – l’avventura bellica, ma anche di fare quanto è possibile, insieme a l’Europa tutta, per dar modo ai tanti che fuggono dai conflitti di avere l’accoglienza prevista dal Diritto internazionale, non i muri e i fili spinati, non il mercimonio dei diritti umani.