Vittime dell’immigrazione: ricordare i morti deve servire a salvare i vivi

Nella notte tra il 2 e il 3 ottobre del 2013, 368 persone perdevano la vita al largo dell’isola di Lampedusa. Si trattava in prevalenza di persone provenienti dal Corno d’Africa. A tre anni di distanza, l’Italia ha commemorato quella tragedia con la Giornata della memoria delle vittime dell’immigrazione, istituita per legge lo scorso 16 marzo 2016. Questo drammatico anniversario è stata un’occasione per richiamare tutti, soprattutto il governo italiano e quelli dell’UE, ai loro doveri, perchè ricordare i morti deve servire a salvare i vivi. Dopo quella dell’ottobre 2013, infatti, le stragi sono continuate. Dall’inizio dell’anno, nonostante il numero di persone arrivate via mare sia diminuito passando da più di 1 milione nel 2015 a circa 300mila, i morti sono aumentati e ad oggi si contano più di 4000 vittime dell’immigrazione nel Mediterraneo. Bisogna fermare questa strage. Per questo il 3 ottobre siamo scesi in piazza in tutta Italia, con tante iniziative per denunciare l’assoluta incoerenza tra quanto dichiarano governi e leader europei e quanto succede alle frontiere e nei Paesi d’origine e di transito. Non c’è solo il muro di Orbàn, che minaccia di modificare la Costituzione dopo il fallimento del suo referendum contro l’Unione europea e i profughi. Anche l’UE – governi e Commissione – segue una politica cinica di chiusura delle frontiere. L’accordo con la Turchia, impedendo soprattutto a siriani, afgani e iracheni (l’80% di chi ha attraversato la frontiera greco-turca nel 2015) di fuggire in cerca di protezione, consegna i profughi nelle mani dei trafficanti e di governi liberticidi. Si pensi al dramma che si sta consumando ad Aleppo e al fatto che quelle persone non hanno alcuna possibilità di mettersi in salvo in Europa a causa dell’accordo con Erdogan. L’Italia vuole riprodurre quel tipo di accordo – e già lo sta facendo – con molti governi dittatoriali africani, a partire da quello del Sudan. Non ci raccontino che «aiutarli a casa loro» è la ricetta giusta, come dice Renzi con il suo Migration Compact. Li stiamo aiutando, è vero, ma soprattutto alcuni regimi anti democratici promettendo loro soldi e sostegno politico, addestramento e mezzi per le loro polizie. Altro che aiuti per lo sviluppo! I soldi al governo di Omar Al Bashir in Sudan, come quelli dati e promessi ad Al Sisi in Egitto, così come il sostegno al regime di Yahya Jammeh in Gambia e a quello di Isaias Afewerki in Eritrea non porteranno certo un miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni di quei Paesi. Anzi, i rispettivi leader (si noti che stringiamo accordi soprattutto, se non esclusivamente, con Paesi dove ci sono regimi non democratici, e si tratta, quasi sempre, di accordi di polizia, che non passano dal Parlamento e non sono pubblici), noti per la ferocia e per il ricorso a violenza, omicidi e torture, aumenteranno la repressione e la conseguenza non potrà che essere l’aumento di coloro che, a rischio della vita, cercheranno di fuggire. Di fatto l’Europa e i suoi governi, negando le proprie radici e i principi sanciti dalle Costituzioni democratiche e dalla Carta di Nizza, tentano di frenare l’ondata di xenofobia e razzismo che sposta l’elettorato a destra, fornendo ulteriori ragioni ai cittadini e alle cittadine per appoggiare posizioni di chiusura. Una tragedia che prima di essere politica è culturale e alla quale sarà difficile porre rimedio. Nel frattempo le persone continuano a morire e i trafficanti aumentano il loro business, non essendoci alcuna via legale per entrare, cioè nessuna possibilità di rivolgersi agli stati, per mettere in salvo se stessi e i propri cari. A pochi giorni dalla prima Giornata della memoria, oltre a non dimenticare i tanti morti di frontiera, ci piacerebbe che i governi evitassero di replicare la solita cinica commedia, cambiando nettamente politica e prevedendo corridoi umanitari, programmi di ricerca e salvataggio, promuovendo una accoglienza dignitosa in tutta Europa.

di Filippo Miraglia vicepresidente nazionale Arci