Un Paese sempre più povero e più disuguale

I dati sulla povertà pubblicati da Repubblica.it (elaborazione Openpolis), confermano quanto già sapevamo e denunciamo da tempo sullo stato del Paese: la crescente povertà è un fenomeno strutturale, prodotto da questo modello di sviluppo e alimentato dall’assenza di adeguate politiche pubbliche finalizzate a contrastarla. L’articolo 3 della nostra Costituzione è totalmente disatteso. Negli ultimi 10 anni (dal 2005 al 2015) il numero delle persone che vivono sotto la soglia di povertà è più che raddoppiato (oggi sono 4,6 milioni) e le scelte di politica economica, da quelle sul lavoro a quelle sul welfare, hanno soltanto peggiorato la situazione. Questo dato è tanto più odioso se si guarda alle categorie più colpite: giovani, donne e bambini. Gli strumenti finora messi in campo, oltre a non essere minimamente sufficienti (si pensi, ad esempio, all’introduzione di un reddito d’inclusione previsto nella legge delega approvata da poco dal nostro Parlamento, a cui la legge di Bilancio assegna risorse del tutto insufficienti), non si pongono l’obiettivo di «rimuovere gli ostacoli», quanto, al più (ma al momento non ci siamo neanche lontanamente) di attenuarne gli effetti. Il dato sull’aumento della povertà in Italia spicca tra i Paesi dell’UE in maniera pesante. I numeri vanno letti con attenzione perché le statistiche sono costruite in maniera diversa nei diversi Paesi e il nostro ha rinunciato da molto tempo a impegnarsi per contrastare gli effetti più negativi di un modello di sviluppo diseguale. In particolare, la precarietà del lavoro (lo scandalo dei voucher è li a testimoniarlo) aumenta le diseguaglianze e l’ingiustizia sociale. Gli strumenti di tutela della disoccupazione in Italia, così come quelli di sostegno alle famiglie e ai bambini, sono di gran lunga inferiori (circa la metà) di quelli degli altri grandi Paesi dell’UE. Si giustifica così l’assenza di prospettive delle giovani generazioni, il bilancio negativo tra decessi e nuovi nati nel 2015 e la tendenza a rimanere nella famiglia d’origine fino a un’età avanzata. Il nuovo governo, il presidente del Consiglio Gentiloni, hanno una grande responsabilità: farsi carico di quella che oggi rappresenta la nostra più grande emergenza sociale. La condizione, ovviamente, è che questo non sia un governo di scopo, natalizio, ma un governo che affronti con serietà le emergenze del Paese, e non solo quelle istituzionali, come la riforma della legge elettorale. Sappiamo che la legge di Bilancio è già stata approvata. Chi governa ha però la responsabilità di dare risposte concrete e in tempi utili. La povertà, e l’emergenza sociale che ne consegue, come testimonia il dossier di Openpolis, dovrebbero essere il primo pensiero del nuovo Presidente del Consiglio. Le crescenti diseguaglianze hanno alimentato nel nostro Paese l’odio sociale, soprattutto tra le fasce di popolazione più colpite dagli effetti della crisi. Anche perché nel dibattito pubblico la verità è oscurata, sostituita da false evidenze, spesso promosse anche da chi rappresenta le istituzioni, nelle loro diverse articolazioni. In particolare, le bugie di stampo razzista sono funzionali all’individuazione di un capro espiatorio, su cui dirottare lo scontento sociale. Per questo, se non si vuole regalare questo Paese alla cultura razzista e all’egemonia della destra politica, si cominci subito a investire in maniera seria e consistente sulla lotta alla povertà e alle diseguaglianze sociali.