N°27 Per le rivolte al Corelli, il vero imputato resta il CIE

Il 15 gennaio di quest’anno scoppia una rivolta nel CIE di via Corelli di Milano. Vengono arrestati i 30 stranieri del settore E del Cie e trattenuti a San Vittore 8 ragazzi tunisini con capi di imputazioni molto pesanti «devastazione, saccheggio, incendio doloso, violenza, oltraggio e resistenza a pubblica ufficiale» (pena massima 15 anni). Gli 8 arrestati, tutti della stessa nazionalità, non sono stati identificati dalle forze dell’ordine, ma dalle indicazioni incrociate degli altri 22 fermati. A giugno si apre il processo e l’11 luglio Arci Milano, Antigone Lombardia e una consigliera Regionale di Sel vengono convocati come testimoni per la difesa insieme alla Croce Rossa, ente gestore del Cie, e al ministero degli Interni. La difesa ci ha chiesto di «far vivere il luogo Corelli in tribunale, di accompagnare i giudice e il Pm a conoscere la struttura Cie dal 1998 al 2012». Il nostro racconto oggettivo e concreto, di ordinaria violazione dei diritti e della dignità umana, di violenza e arbitrarietà oltre al non rispetto degli standard minimi di un servizio – perchè il Cie è un servizio, pagato con soldi pubblici – ha fatto piangere i ragazzi tunisini chiusi in gabbia in tribunale e sbaloridire il cancelliere e la PM. La Croce Rossa, sentita dopo la nostra testimonianza, è caduta in contraddizione, la funzionaria del ministero degli Interni ha dichiarato di non sapere nulla di Corelli e ha ricordato che la Commisione de Mistura ha indicato i CIE come luoghi indecenti… Il collegio, il 18 luglio, nel disporre la liberazione degli 8 imputati ha spiegato che «l’allarme relativo alla pericolosità delle condotte» deve essere ‘rivisto’ e riqualificato, avendo già passato gli immigrati 6 mesi in carcere. I giudici hanno poi assolto gli imputati dal reato di devastazione, perche’ il «fatto non sussiste», assecondando la richiesta del pm, che aveva chiarito come i disordini non avessero costituito una «minaccia concreta per il vivere civile e la collettività». L’accusa aveva chiesto 7 condanne fino a 3 anni e 4 mesi, ma i giudici hanno derubricato il reato ‘rimasto’ (danneggiamento e incendio) al solo danneggiamento. Accolta anche la richiesta del pm di attenuanti generiche per «le difficoltà di queste persone che si ritrovano ristrette in condizioni di abbandono, con situazioni di vita sui generis e spesso senza capire i motivi della detenzione». Il 16 settembre saranno pronte le motivazioni della sentenza… e le aspettiamo con ansia. A Milano si è fatto un passo in avanti. Un tribunale ha definito il CIE un luogo di abbandono. Un luogo in cui le condizioni di vita sono sui generis. Un luogo in cui, con leggerezza e usando la delazione, si costruiscono capi di imputazioni pesantissimi senza nessuna prova. Un luogo che nessuno conosce o vuole conoscere.. perchè sono bastati 15 minuti di racconto per disporre la libertà di tutti e assolverne uno.

Ma il tribunale non basta. Non bastano le fotografie di Corelli che, dopo la sentenza, ha aperto le porte ai giornalisti. La politica e la cultura devono riprendere parola.

Un suggerimento al Governo tecnico: visto che non non è noto quanto costano i CIE, anche se sappiamo che il costo pro capite dei detenuti è doppio rispetto a quello dei rifugiati nello Sprar, e visto che invece è nota la loro inefficacia rispetto agli obiettivi dichiarati… tagliamoli

info: scovazzi@arci.it