Diffamazione a mezzo stampa: la legge torna alla Camera con qualche miglioramento e ancora molte criticità

Viene confermata l’abolizione del carcere. Scompare la possibilità di chiedere la cancellazione da Internet degli articoli ritenuti diffamatori. Vengono inasprite le sanzioni per le querele e le azioni civili ‘temerarie’. E viene finalmente prevista una norma per i giornalisti che devono affrontare processi civili e penali dopo il fallimento dell’editore. Sono queste le novità principali della riforma della diffamazione a mezzo stampa, che torna a Montecitorio. «Abbiamo fatto un lavoro serio – dice Walter Verini, Pd, relatore del provvedimento – confermando la cancellazione del carcere per il reato di diffamazione. E la clausola di non punibilità, se il giornale pubblica la rettifica richiesta, tutela il diritto dei cittadini a non essere diffamati e la libertà dei giornali». Ma proprio sulle multe e sulla rettifica obbligatoria si concentrano le critiche: le sanzioni penali potranno arrivare fino a 50mila euro, mentre le rettifiche potranno essere chieste al giornale da chiunque ritenga leso «il proprio onore o la propria reputazione» da un articolo, e dovranno essere pubblicate «gratuitamente, senza commento, senza risposta e senza titolo». Secondo Enzo Iacopino, presidente dell’Ordine dei giornalisti «queste multe non tengono conto della potenzialità economica del condannato, e le rettifiche senza limiti rischiano di trasformare i giornali in buche delle lettere». Sulla stessa linea il segretario della Fnsi, Raffaele Lorusso, che contesta l’assegnazione dei processi per diffamazione contro i siti internet al giudice della città del querelante («Costringere una piccola testata a difendersi in cento tribunali diversi diventa una forma indiretta di intimidazione») e avverte: «L’abolizione del carcere non può diventare un paravento per una resa dei conti contro i giornalisti». La Commissione Giustizia ha introdotto una novità importante: «Si è pensato – dice Verini – ai casi di fallimento delle proprietà dei giornali, nei quali direttori e giornalisti vengono lasciati soli a risarcire il danneggiato per diffamazione». È quel che è successo a molti giornalisti a cominciare dagli ex direttori dell’Unità (De Gregorio, Sardo e Landò) chiamati ad affrontare oltre 50 processi, pagando di tasca loro anche centinaia di migliaia di euro, e dagli ex direttori di E-Polis, Enzo Cirillo e i fratelli Antonio e Gianni Cipriani, coinvolti in 92 processi penali e in 44 cause civili. La nuova norma – che non riguarderà i processi già arrivati a sentenza – consentirà ai giornalisti che pagheranno i risarcimenti di essere inseriti tra i creditori privilegiati dell’editore fallito (o della società in liquidazione). In pratica, dovranno continuare a pagare di tasca loro, ma poi potranno chiedere all’editore ‘sparito’ di versare la sua parte. Per la prima volta, passa un principio: l’editore non può abbandonare i giornalisti al loro destino giudiziario.