Una sentenza che sana un’ingiustizia

La sentenza della Cassazione che stabilisce che anche le scuole paritarie religiose debbano pagare l’Imu farà discutere a lungo. Come avviene per tutto quel che riguarda il nervo scoperto del rapporto in campo educativo tra stato e chiesa. Il mondo cattolico è in subbuglio e comincia a temere l’effetto contagio. Ribadisce quindi il concetto che con la scuola paritaria lo stato risparmia sull’istruzione, tema caro a quanti sperano in un arretramento del sistema statale, soprattutto nelle prime fasce dell’istruzione. E chissà, dopo la Buona scuola, cosa ci aspetta per il periodo scolastico da zero a sei anni. Fidae (l’associazione delle scuole paritarie religiose) prospetta un danno incalcolabile che porterà alla chiusura delle scuole cattoliche, che però hanno notevoli finanziamenti dallo stato, dalle regioni e dai comuni. Vediamo come è andata. Qualche giorno fa la Corte di Cassazione – in assoluto il primo pronunciamento su questo tema – ha riconosciuto la legittimità della richiesta del comune di Livorno al pagamento dell’Imu anche da parte delle scuole paritarie religiose. Perché in questi istituti si configura, attraverso il pagamento delle rette, un’attività specificamente commerciale, anche se non ci siano ripartizione di utili e finalità di lucro. Il problema si evidenzia col ‘decreto liberalizzazioni’ del gennaio 2012, nel quale si estende l’esenzione dall’Ici, relativa ai beni ecclesiastici, oltre che ai luoghi di culto anche agli immobili di proprietà della Chiesa impegnati in attività di natura ‘non commerciale’. E dunque con tutto il rispetto per le attività educative svolte nelle paritarie, perché mai solo quelle religiose dovrebbero essere esenti dalle tasse che pagano tutti gli altri? La Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi su una elementare, ma rilevantissima questione di giustizia. Occorre ricordare che la Chiesa cattolica possiede in Italia un patrimonio immobiliare immenso, assolutamente incomparabile per dimensioni e valore con quello di qualsiasi altro operatore immobiliare. Va inoltre sottolineato che solo una parte di questo patrimonio è dedicata alle attività ecclesiastiche. In una realtà in cui tutti i cittadini sono impegnati a pagare una tassa sui loro beni, anche sulla prima casa, è ragionevole che, una volta esclusi dalla tassazione per le guarentigie concordatarie i luoghi di culto, anche un’altra rilevante parte del patrimonio ecclesiastico debba essere esentata da quest’obbligo comune? Questa pretesa pare eccessiva e va dato merito alla Corte di Cassazione di aver messo un punto fermo sull’intera vicenda, sciogliendo anche le ambiguità presenti nella stessa legislazione e nei suoi decreti attuativi. Sulla vicenda è intervenuto, per placare le polemiche, il presidente della Cassazione, specificando che «l’esenzione spetta laddove l’attività cui l’immobile è destinato, pur rientrando tra quelle astrattamente previste dalla norma come suscettibili di andare esenti, non sia svolta in concreto con le modalità di un’attività commerciale». E chiarisce: «L’onere di provare tale circostanza spetta al contribuente». Sarà pertanto il giudice di merito a dover decidere di volta in volta se l’esenzione spetti o meno per l’attività didattica come concretamente svolta.