Mondazzoli, no grazie

Di Vincenzo Vita esperto di comunicazione.

L’Autorità Antitrust ha avviato lo scorso 21 gennaio un’istruttoria sulla concentrazione ‘Mondadori-Rcs Rizzoli’, passata alla cronaca come ‘Mondazzoli’. Vicenda di cui si è parlato molto e che ha dato luogo a una consistente fuga di cervelli, Umberto Eco in testa. Le cinquanta cartelle del documento sono un’agghiacciante e realistica fotografia della situazione. «All’esito dell’operazione notificata, Mondadori verrà infatti a detenere una quota superiore al 40% del settore, tre volte superiore a quella del primo concorrente Gems e di oltre sei a quella del secondo, Newton Compton. Pertanto, l’operazione notificata comporterà la nascita di un operatore dotato di un significativo potere di mercato e determinerà l’aumento del grado di concentrazione in un mercato già concentrato». Sono dati crudi, peraltro in difetto, visto che – ad esempio – nella saggistica tascabile si arriva al 60%. Dai best seller agli e-book, ai libri per ragazzi alla scolastica: il gruppo fa cappotto. Come è stato e in gran parte continua ad essere per la televisione generalista, la patologia italiana rimane la resa incondizionata alla logica del trust. Colpevole due volte: riducendo e condizionando il pluralismo; bloccando gli scenari evolutivi, perché la scarsa cultura digitale e la vaghezza dei discorsi pubblici sull’innovazione hanno una concausa proprio nell’angustia del panorama mediale. Nell’essere l’Italia un villaggio, e niente affatto globale. Se non si rimuovono le cause strutturali, la modernità multi-piattaforma e la rivoluzione tecnica rimangono al palo. Ecco, allora, la gravità di ciò che accade nel delicato mondo della scrittura. Né radio e televisione, né cinema musica e teatro, neppure la rete possono prescindere dall’alfabeto primario. Una volta uniformato quest’ultimo, il castello della creatività subisce un colpo letale. Che l’istruttoria arrivi a conclusione, l’operazione va bloccata. Non bastano eventuali ‘paletti’, generalmente aggirabili. Il quadro è ad alto rischio e si gioca una partita insidiosa, anche per l’effetto di trascinamento di un ulteriore colpo concentrativo. Altrove, un fenomeno del genere avrebbe determinato reazioni fortissime e probabilmente si sarebbe arenato da solo. Curioso poi che il capitolo del diritto d’autore sia considerato tema sensibile se si allargano i fruitori ma privo di implicazioni se significa accaparramento proprietario dell’intelligenza dei saperi. Fino a quando dovremo sopportare l’assenza di una decente normativa sul sistema dei media, ferma ai capisaldi del berlusconismo? Con un ‘Testo unico’ del 2005 che ne rappresenta la sintesi? La riforma dell’editoria in discussione dovrebbe ingaggiarsi su tali temi. Ora si dovrà attendere il parere dell’Agcom, cui l’autorità cugina ha spianato la strada. Ma l’esperienza ci ha reso avvertiti e poco ottimisti.