Marrakech: popoli in corteo per la giustizia climatica

Il 13 novembre decine di migliaia di persone hanno sfilato per le strade di Marrakech in occasione dell’inizio della seconda settimana della Cop22. Mentre i rappresentanti dei governi di tutto il mondo sono asserragliati nella blue Zone a discutere sofisticamente sul come muoversi nonostante le elezioni americane, nelle strade dell’antica città imperiale marocchina c’era chi si è dimostrato indisponibile a fare sparire i propri bisogni e le proprie aspettative nel fiume di parole che caratterizza la diplomazia internazionale. Dopo l’accordo di Parigi con i suoi illuminanti principi sul come salvare il nostro clima, i suoi inesistenti strumenti applicativi e gli assolutamente insufficienti impegni dei singoli stati (pensiamo all’Italia e alla febbre di petrolio che ossessiona il governo) questo doveva essere il momento dell’azione. Le trattative purtroppo, per il momento, stanno andando in un’altra direzione. In migliaia si sono riversati nelle piazze per rompere la campana di vetro che è stata costruita intorno ai movimenti di tutto il mondo, per gridare la loro necessità di ‘giustizia climatica’ nella consapevolezza che non sarà il green washing dei grandi inquinatori a salvare il pianeta. Quelle persone con gli occhi carichi di dignità, all’interno di vari spezzoni che hanno colorato la città e riempito il cuore di chi li guardava, parlavano in tutte le direzioni: parlavano ai loro rappresentanti affermando che solo una reale trasformazione sociale, economica e produttiva potrà salvare il pianeta. Rivendicando la necessità di una nuova utopia concreta, di una nuova società in cui gli esseri umani possano essere liberi di muoversi e migrare, in cui i sistemi economici siano compatibili con l’ambiente e i territori, in cui le relazioni tra gli stati non si affermino attraverso la legge militare ed economica del più forte. «System Change not Climate Change» è stato gridato più volte, in più Primi ritorni da Marrakesh di Stefano Kenji Iannillo Rete della Conoscenza lingue: i movimenti sociali globali non sosterranno un’altra discussione tra le parti improduttiva e sono pronti ad essere i prossimi protagonisti delle politiche pubbliche mondiali, è una questione di vita o di morte dopotutto. Ma quel corteo parlava anche a noi. Ci ha insegnato la necessità di uscire dal nostro ‘eurocentrismo’ delle lotte e delle soluzioni, ci ha insegnato la dignità dell’ascolto e della lotta di chi ha già subito in pieno le conseguenze dei cambiamenti climatici. Ci ha richiesto a gran voce la necessità di metterci a disposizione della costruzione di una mobilitazione globale, di sperimentare in primo luogo da noi – sui nostri territori- la conquista democratica dell’imposizione di soluzioni costruite dal basso verso un modello di sviluppo sostenibile, di alzare la teste e renderci conto che non ci regalerà mai niente nessuno, che solo organizzandoci ci sarà speranza. Che non sarà l’etica o la morale – la crisi climatica infatti è ormai coscienza comune in milioni di persone – ma solo un vero protagonismo popolare e la sua capacità di governare la crisi e le trasformazioni in cui ci troviamo sommersi a salvare il mondo e la specie umana.