“Horror casting”. Tempo di provini

visioni distorte # 11

anche se non guardi la televisione, la televisione ti riguarda”

Sono sempre di più i format televisivi che utilizzano il “provino” come parte integrante dello spettacolo.

Vi sono ormai da lunga data trasmissioni, periodicamente riproposte sia dal polo televisivo pubblico che da quello privato, che utilizzano in modo non sporadico provini ripescati tra i materiali di repertorio, e che eleggono a spettacolo le vicissitudini mediatiche degli ex “provinati”, indagando la loro trasformazione da persone a personaggi, come accade con gli abusati accostamenti tra l’ospite in studio e il suo reperto elettronico di tanti anni prima.

Si è però recentemente imposta una nuova modalità di utilizzo del provino, in cui quest’ultimo, pur continuando ad essere realizzato durante la fase di casting, viene programmaticamente concepito come contenuto, non marginale, del futuro show.

Sono stati in particolare i talent show e i reality show ad inaugurare un’era mediatica in cui ad ognuno di noi viene offerta la possibilità di guadagnarsi un passaggio televisivo proprio attraverso il provino, dato che ad autori e produttori interessa mostrare non più solo coloro che “vanno in tv” ma anche coloro che “provano ad andarci”.

Provini da talent-show

Ne deriva una sorta di retrocessione mediatica, in cui l’aspirante concorrente è spronato ad “inventarsi qualcosa”, conscio che potrebbero essere proprio quei momenti di anticamera televisiva a regalargli l’agognata tele-apparizione; ed ecco che ogni persona si presenta già come personaggio, e propone un’interpretazione di sé ideata magari con l’aiuto di parenti, amici o maestri di canto.

Assistiamo dunque a un esponenziale moltiplicarsi di personaggi “fatti in casa”, che da un lato alimenta un caravanserraglio televisivo disponibile per la produzione a costo zero, dall’altro rimarca con evidenza quella gerarchia mediatica che impone una precisa distinzione tra chi ha il diritto di apparire a pagamento sullo schermo in qualità di talento, show girl o opinionista, e chi invece può aspirare solo a recitare la parte di colui che rimane fuori dalla porta ad elemosinare l’ingresso.

E’ evidente come questa pur fugace proposta via provino di personaggi di serie B susciti il gradimento del pubblico, probabilmente perchè sfrutta in parte processi psico-culturali analoghi a quelli scatenati dalla diffusione massiva della pornografia amatoriale. Seduti sulle nostre poltrone assistiamo al rapido passaggio di persone “della porta accanto”, che si sono fabbricate una maschera ad uso telegenico: li deridiamo, ci appassioniamo a loro, ci stupiamo che non li abbiano scelti oppure ci vergogniamo al loro posto; e alla fine questo rapido scorrere di rudimentali e domestiche performances, destinate a tornare subito nell’oblio mediatico, ci appare l’aspetto più originale dello show.

E’ un’estrema degradazione mediatica delle situazioni di vita quotidiana in cui si trovano di fronte due esseri umani l’uno dei quali deve esprimere un giudizio sull’altro, come le selezioni per un posto di lavoro, qui ulteriormente rafforzata dal fatto che si tratta di situazioni costruite ad esclusivo beneficio di un soggetto terzo, lo spettatore, cui spetta esclusivamente divertirsi (o al limite esprimere una preferenza tramite televoto).

Niente di troppo diverso del resto dalla sempre più marcata istituzionalizzazione e massificazione della pratica del casting, ormai esondata in tutti i contesti del nostro vivere comune che implicano una “scelta” tra le persone, e non soltanto negli apparati politici di stretta ascendenza Mediaset, ma anche nei comportamenti pubblici di personaggi di diversa provenienza quali Oliviero Toscani, una delle cui prime preoccupazioni al momento di scendere in campo per le elezioni regionali toscane (progetto poi abbandonato) è stata quella di prefigurare un casting per la nomina dei futuri assessori.

Tuttavia, per capire in profondità quest’epoca di total casting è necessario tornare ad osservare la prima tipologia di provini, quella tradizionale, in cui il “girato” era esclusivamente concepito come strumento di servizio per una selezione, e non come contenuto da mostrare ai telespettatori.

Si tratta di immagini da cui traspare il rapporto primigenio tra uomo e macchina da presa.

Da una parte c’è l’essere umano, che rappresenta sè stesso senza sovrastrutture narrative: balla, canta, racconta la sua vita, se è uomo esibisce i muscoli, se è donna esibisce le forme; dall’altra c’è la telecamera, che agisce come invisibile, impassibile e impersonale strumento di registrazione della realtà, indifferentemente dal fatto che ogni tanto nell’inquadratura entri la voce over di chi presuppone e utilizza lo strumento stesso.

Provino show-girl

A una superficiale visione, questi provini ci appaiono immagini ordinarie e banali, in grado di comunicare solo la loro funzione di servizio; eppure, più in profondità, provocano in noi un senso di inquietudine che gli altri provini, quelli più “moderni”, consapevolmente concepiti per un uso pubblico sia dal produttore che dal provinato, non ci comunicano.

Più che nella banalità verbale dei testi di questi lunghi piani sequenza, è proprio nella riscoperta di questa primitiva relazione tra persona e strumento mediatico che risiede il segreto di questa inquietudine.

La nuda offerta di questi volti e di questi corpi, priva di qualsiasi artificio narrativo interno (attoriale) ed esterno alla ripresa (la manipolazione successiva delle immagini), crea un effetto di straniamento, simile a quello che probabilmente noi stessi abbiamo provato la prima volta che abbiamo ascoltato la nostra voce registrata o riguardato la nostra figura ripresa da una telecamera.

E’ un esperienza che già Luigi Pirandello, ai primordi del cinema, aveva rappresentato come esperienza dell’orrore, raccontando nei “Quaderni di Serafino Gubbio operatore” (1915) la reazione dell’attrice che, seduta in sala di proiezione durante la lavorazione del film, rivede se stessa nelle scene girate il giorno prima:

Resta ella stessa sbalordita e quasi atterrita dalle apparizioni della propria immagine sullo schermo. Vede lì una che è lei, ma che ella non conosce. Vorrebbe non riconoscersi in quella. Ma almeno conoscerla

“C’è un oltre in tutto. Voi non volete e non sapete vederlo”, aveva detto poco prima il protagonista del romanzo, e l’orrore è proprio lì, in quell’oltre che traspare da questa relazione apparentemente passiva, eppure così violenta, tra persona e macchina.

Come bene ha spiegato Giacomo Debenedetti analizzando questo passo ne “Il romanzo del novecento”, questo oltre è un’aura che deborda dalla figura umana e che, non visibile ad occhio nudo, ha bisogno di un medium meccanico per emergere.

Invece del medievale horror vacui, un moderno orrore del pieno, del volto e del corpo che debordano dallo schermo.

Viene in mente una situazione, molto distante eppure analoga, come quella raccontata dal regista Davide Ferrario, che per prepararsi a girare “Guardami” era stato sul set di un film porno:

E’ stato a Budapest, su un set porno. La location era un castello in una sera di giugno, tiepida. Davanti a me, sei o sette corpi intrecciati. Leccavano, spingevano, pompavano l’uno nell’altro. Sospiri e gemiti uscivano ogni tanto dal groviglio, fustigati dal regista che voleva maggiore energia nella scena.

Io guardavo, sì, facevo esattamente questo: guardavo, né più né meno. Dentro di me, nel mio inconscio, nel mio sistema desiderante, nel mio istinto basico, nulla. Non un moto o uno stimolo. Non una pulsione erotica. E’ difficile eccitarsi durante la lavorazione di un film hard, così come è assolutamente noioso starsene sul set di un film vero.

Però. Però appena l’occhio – e fu meno di un secondo – passò dalla scena vera giù, a osservare il display della telecamera digitale che avevo in mano e che usavo per prendere appunti di ripresa, tutto cambiò. Quell’attività sessuale così poco interessante nella realtà a due metri da me, mutava natura all’improvviso dentro il piccolo monitor.

E’ così che questi vecchi provini trasmettono attraverso lo schermo un al di là delle situazioni riprese, e delle persone in particolare: un misto di orrore e pornografia, ottimo per i nostri gusti.