“Bruciare libri sul pubblico schermo”. Lo scrittore in vacanza in tv

visioni distorte # 12

anche se non guardi la televisione, la televisione ti riguarda”

Non vi sarebbe molto da dire sulla partecipazione dello scrittore Aldo Busi alla più recente edizione del reality show “L’isola dei famosi”, semplicemente perchè su questo tipo di format, diventato negli ultimi anni il più potente collettore e proiettore dell’immaginario televisivo popolare, già si sono spese molte parole.

Tuttavia la forte esposizione mediatica dedicata all’epurazione da tutti i canali Rai dello scrittore, accusato di aver proferito affermazioni anti-papali nel corso di puntata dello show, apre il campo a qualche riflessione specifica sul rapporto tra il cosiddetto ceto intelletuale italiano e il medium televisivo.

Busi show

Coloro che conoscono non tanto lo scrittore quanto piuttosto lo show-man Busi non saranno forse stupiti dagli esiti di questa sua tele-partecipazione, come si è in molti casi evidenziato sugli organi di stampa, eppure per comprenderne a fondo il senso bisogna assolutamente tener presente che la funzione di intellettuale e produttore di “alta letteratura” non è stata assegnata a questo personaggio da qualche autore televisivo, bensì da un pubblico di lettori e addetti ai lavori che, specialmente nei primi anni novanta, ne hanno designato il successo in taluni ambienti culturali, come probabilmente ricordano coloro che in quegli stessi anni hanno frequentato una qualsiasi facoltà umanistica.

Non è pertanto erroneo affermare che la partecipazione dello scrittore Busi a “L’isola dei famosi” possa effettivamente essere intepretata come un esperimento di commistione tra un rappresentante di ciò che alcuni definiscono “cultura alta” e il mondo dell’intrattenimento televisivo popolare che in molti pretenderebbero di mantenere a debita distanza da quella stessa cultura, pena l’inficiazione.

Ed è un esperimento che dimostra in modo abbastanza evidente quanto possa essere fallimentare il tentativo di una certa parte del cosiddetto ceto intellettuale del nostro paese di assoggettare il mezzo televisivo ai propri contenuti, basato su una supposta conoscenza delle sue leggi e sulla sensazione di poterle dominare, imponendo le proprie forme espressive.

Come tanti personaggi che popolano i reality-show, a suo modo neppure lo scrittore Busi resiste alla tentazione di occupare fisicamente lo schermo, attraverso il suo corpo e il suo eloquio ininterrotto, e di provare ad usarlo per un mese, per un giorno, per mezz’ora come un megafono rivolto verso “il popolo di Rai 2″.

Quasi non avesse capito di essere finito in una trama ben più grande di lui, il personaggio spinge sull’accumulo invece che sulla sottrazione; non promuove un’ecologia della comunicazione, ma pretende ingenuamente di modificare il format dal suo interno, usando le sue stesse armi. Ma si tratta di armi di cui in realtà il personaggio può disporre solo fino al punto in cui i suoi indiretti “avversari”, ovvero gli autori del format, glielo consentono.

E’ del resto improbabile proclamare la propria alterità rispetto al mezzo televisivo e nello stesso tempo muoversi al suo interno in base a una serie di precise clausole contrattuali, la cui violazione è ampiamente messa in conto, persino auspicata dagli stessi estensori del contratto.

Come tanti personaggi che popolano i reality-show, anche lo scrittore Busi appare il prodotto di una sommatoria di indicazioni e prescrizioni autoriali, che tendono a fare di lui un altro predicatore da utilizzare per dimostrare che il medium può tranquillamente contenere al suo interno anche la sua stessa negazione: un personaggio costruito in partenza per essere a un certo punto scomunicato ed esiliato, in base alla necessità di creare un altro di quei piccoli “scandaletti” cui bisogna aggrapparsi per agitare le passioni dei telespettatori.

Il format è sempre destinato a vincere sul personaggio, poichè lo contiene e dura più a lungo.

E alla fine del personaggio resta solo l’ego, mentre le sue azioni ottengono un effetto contrario a quello voluto: quando ci si prolude in un’arringa contro l’omofobia all’interno di un reality si rischia soprattutto di alienarsi la simpatia di coloro che gay-friendly lo sono già; quando si accosta nella stessa performance una critica sulla politica ecclesiastica e un battibecco di basso profilo sulle “tette rifatte” di una show-woman, si finisce per assecondare il tipico processo televisivo di decostestualizzazione, banalizzazione e appiattimento della comunicazione.

Pertanto, se il personaggio smuove la sensibilità dei teleutenti, riesce probabilmente a smuoverla soprattutto in senso negativo, poichè oltretutto non tiene conto di una fondamentale legge mediatica: quella per cui non è affatto detto che chi nella vicenda televisiva simpatizza per un paladino della “diversità”, non possa, nella vicenda reale, essere comunque un “picchiatore di froci”: non vi è assolutamente continuità di comportamenti, passioni e credenze nel passaggio tra questi due mondi, poichè la tv è la realtà e tutto il resto è solo l’intervallo tra un programma e l’altro.

Ed è anche per questo che far vincere un reality a un omosessuale non rende il nostro paese meno omofobo, ma solo più illuso di poter “fare la storia” a colpi di televoto.

Ma l’aspetto più interessante riguarda probabilmente la specificità della condizione di concorrente dello stesso Busi, ammesso a partecipare proprio in virtù del suo status di autore e divulgatore di letteratura.

E’ uno status che la produzione ha voluto mettere particolarmente in evidenza, concedendo al personaggio di portare su ”L’isola” una serie di libri, trasgredendo così a una delle sacre regole del reality-show, come spiega Giorgio Gori, patron di Magnolia, società che produce il format:

“Abbiamo sempre negato ai naufraghi la possibilità di leggere sull’Isola. Questa volta invece, data la presenza di Aldo Busi, gli ho chiesto di compilare un elenco di testi letterari e di filosofia. Lui ha scelto tra i titoli “Il Simposio” di Platone, “L’Asino d’oro” di Apuleio, “Il Canzoniere” di Petrarca […]. Faremo arrivare i libri sull’Isola e Busi terrà delle letture agli altri nove vip e sei non vip”

La presenza di un noto scrittore tra i concorrenti ha dunque permesso, in base alla convinzione che fosse necessario istruire i “naufraghi” e soprattutto il “popolo di Rai2”, di violare lo storico tabù che impedisce la presenza dell’oggetto libro all’interno dei reality show.

Ed è evidente come ciò non sia naturalmente dovuto all’incapacità di Busi di citare Petrarca senza avvalersi di un supporto cartaceo, quanto piuttosto al manifesto tentativo di usare il testo classico come materia da reality-show, e più precisamente come merce da audience.

E’ un elemento di rottura non secondario per questi format, che sin dall’inizio si sono dichiarati fieri nemici del libro e della lettura in nome del fatto che un concorrente che legge non fa spettacolo, non compie azioni narrative, non fa crescere ma calare l’attenzione e l’affezione dello spettatore.

Solitamente colui che viene chiamato a far parte del reality-show viene invitato a fare voto di castità culturale e bruciare metaforicamente i suoi libri.

Una messa al bando che ricorda quanto accade nel film “Fahrenheit 451” di F. Truffaut, dove i libri vengono bruciati perchè ritenuti pericolosi per l’ordine costituito, con la fondamentale differenza che in questo caso essi vengono bruciati semplicemente perchè ritenuti veicolo di noia e simulacro di un mondo, quello della vita reale, che non deve essere mostrato in quanto non interessante.

Persino portare su “L’isola” qualche grammo di cocaina sarebbe finora risultato meno problematico e in fondo anche più tollerabile rispetto all’introdurvi un libro, poichè in fondo sull’uso delle droghe si possono incessamente costruire parabole mediatiche sul pentimento; il libro resta invece un oggetto del tutto infido, poichè mette inevitabilmente in discussione il potere di intrattenimento e assoggettamento dell’immaginario che la televisione detiene con schiacciante maggioranza rispetto agli altri media.

Pertanto l’eccezione fatta per lo scrittore Busi induce quasi a chiedersi se davvero in essa possa risiedere un intento formativo.

Ma la risposta non lascia purtroppo spazio a dubbi poichè, dopo appena mezza puntata, ci si accorge immediatamente che pretendere che “L’isola dei famosi” possa avere una funzione di divulgazione culturale è come credere che i discorsi di Benito Mussolini scaricabili su un iPhone (oggi è possibile grazie a una brillante idea della Apple, che ci propone il suo iMussolini) possano per conto loro fornire un adeguato quadro storiografico del ventennio fascista: si tratta di citazioni, brandelli, frammenti sradicati e proiettati nel nulla, tra una telepromozione e una nomination, tra il primo piano di un culo e il pianto di qualcuno che si è dato fuoco per guadagnarsi una coscia di pollo.

Chissà quanti sono i telespettatori che, come afferma la conduttrice del reality, hanno aspettato con ansia la fine della puntata per poter finalmente correre a sfogliare l’enciclopedia e scoprire chi sia questo Poliziano che hanno sentito citare durante la trasmissione; l’idea da lanciare sarebbe conseguentemente quella di un tele-sondaggio a colpi di sms per contarli.

Ammesso e non concesso che abbia un senso questa missione educatrice che Magnolia si sarebbe posta, il reality-show non può istruirci. Può appassionarci, può indurre i nostri desideri, può costruire i nostri sogni al posto nostro. Ma non può istruirci.

E alla fine è inevitabile chiedersi: ma perchè Busi non ci ha portato i suoi di libri su “L’isola”?

A quale titolo si è permesso di contaminare testi che sono per definizione i testi “di tutti”, poichè a tutti appartengono Petrarca e Leopardi, con il linguaggio e il contesto di un reality show?

Sulla base di quale criterio condiviso Magnolia e la Rai possono disporre a proprio piacimento della Divina Commedia allo stesso modo in cui dispongono dei corpi e dei comportamenti dei propri presentatori, dei propri concorrenti, dei propri opinionisti, delle proprie vedettes?

Sia chiaro: non si tratta di assumere atteggiamenti “puristi” e cadere di nuovo nell’inganno della distinzione tra supposte culture di serie A e culture di serie B, poichè è anzi fortemente necessario, persino obbligatorio, che la letteratura classica trovi spazio sul pubblico schermo.

Ma non all’interno di questo format.

Non all’interno di un format che non promuove contenuti ma che usa i contenuti esclusivamente per promuovere sè stesso, e che rappresenta una delle forme più compiute con cui si tenta di far scomparire la vita reale dietro la realtà mediatica; poichè questo uso televisivo del classico spinge questo processo di scomparsa della realtà ancora più in là, fornendogli persino un effetto retroattivo.

Forse il senso della presenza dello scrittore Busi in tv lo aveva già compreso più di cinquant’anni fa Roland Barthes, che in “Miti d’oggi” (1957), nel capitolo “Lo scrittore in vacanza”, scrisse:

“Potrò sentirmi commosso e persino lusingato, io semplice lettore, di partecipare tramite la confidenza alla vita quotidiana di una razza selezionata dal genio: potrà sembrarmi deliziosamente fraterna un’unanimità in cui so dai giornali che questo grande scrittore porta i pigiami blu, e che a quel giovane romanziere piacciono le ragazze carine e il miele di lavanda. Ciò non toglie che a saldo dell’operazione lo scrittore diventi ancora un po’ più divo, si allontani ancora un po’ di più da questa terra per una zona celeste dove i suoi pigiami non gli impediscono affatto di riprendere l’uso della sua nobile parola demiurgica”

Tutto ciò può valere ancora oggi, ma con la significativa differenza che la tv di oggi ha ben altro potere narrativo rispetto ai rotocalchi degli anni cinquanta.

Oggi il personaggio “scrittore” è per la la narrazione televisiva una pedina come un’altra. Gran parte di coloro che compaiono nei reality show possono essere spacciati per “miti”, eppure, nei fatti, non sono altro che variazioni narrative, diversivi.

L’uno dopo l’altro, l’importante è che il racconto continui a prodursi.

Anche il diversivo Busi è passato.

Ora ci vuole un’altra trovata.

Poichè quando finisce la fase dell’intellettuale provocatore, comincia quella del bidello sfigato, e quando finisce la fase del bidello sfigato comincia quella del trans lluminato, e quando finisce quella del trans illuminato comincia quella della show-girl tormentata.

Il repertorio è senza fine.