L’inchiesta sui fatti di Rosarno ha finalmente squarciato il velo dell’ipocrisia, restituendoci nitida l’immagine di un’Italia che molti conoscono ma fingono di non vedere. Lo scorso gennaio Rosarno fu teatro di violenti scontri. Il ferimento a colpi di fucile di due lavoratori migranti scatenò la rivolta degli africani, cui seguì una vera e propria caccia al nero che portò all’allontanamento di molti di loro dalla cittadina calabrese. Il ministro Maroni dichiarò che la violenza era frutto della «troppa tolleranza verso i clandestini». Gli arresti di ieri disposti dalla Procura di Palmi dimostrano che, se tolleranza c’è stata, questa ha riguardato un sistema basato sul cinico sfruttamento di esseri umani, costretti, in cambio di lavoro, a rinunciare alla loro dignità. Quella che emerge è l’Italia dei caporali, moderni mercanti di braccia al soldo di proprietari senza scrupoli o legati ai poteri mafiosi, di fronte ai quali lo Stato, nelle tante Rosarno del nostro paese, ha abdicato al suo ruolo. Un sistema che controlla parti importanti del mercato agricolo e industriale, aumentando i profitti grazie alla disperazione dei tanti stranieri che arrivano nella civile Europa inseguendo il miraggio di una vita migliore. E diventano schiavi di fatto, lavoratori in nero privati di qualsiasi diritto, compreso quello di denunciare i soprusi, perché costretti a restare invisibili e a garantire così l’impunità di chi li sfrutta. A quasi quattro mesi di distanza, nulla è cambiato nella Piana di Gioia Tauro. I braccianti stranieri sono ancora centinaia, identiche le condizioni miserabili di vita, identico il sistema di reclutamento di mano d’opera. Nulla è stato fatto nemmeno per sostenere gli agricoltori locali, intervenendo sulle distorsioni della filiera produttiva e distributiva. Anche produrre nella legalità non è facile in quelle terre. Per questo è necessario avviare al più presto un piano di risanamento economico, culturale e sociale a cui devono concorrere il governo, le parti sociali, le amministrazioni locali, le organizzazioni di volontariato e di promozione sociale che operano in questa come nella altre zone a più alto tasso di lavoratori stagionali. Intanto si conceda subito a questi ‘nuovi schiavi’ un permesso di soggiorno per motivi umanitari.