Sul Garante dei Detenuti: una lettera di Marco Solimano

Da alcuni mesi si è aperta sui media livornesi e toscani una violenta discussione in merito all’istituzione del Garante dei Detenuti di Livorno, originata dalle pubbliche dichiarazioni del Sindaco di Livorno, nelle quali si individuava la persona di Marco Solimano (presidente di Arci Livorno) come figura adatta a questo incarico, e dalle successive prese di posizione discordanti da parte di alcuni esponenti del centro-destra locale, tra cui si è distinto il consigliere comunale del PDL Andrea Romiti, che, facendo leva sui trascorsi giudiziari di Marco Solimano, è arrivato a definirlo “compagno di persone che hanno ucciso Aldo Moro e Marco Biagi” (Solimano ha finito di scontare una condanna per partecipazione ad organizzazione eversiva nel 1987, dal 1999 al 2009 è stato consigliere comunale DS a Livorno e dal 1999 è presidente di Arci Livorno). Senza pretesa ed interesse nel ricostruire questo già fin troppo noto “dibattito” nella sua totalità, impresa del resto impossibile, pubblichiamo una lettera con cui Marco Solimano prende per la prima volta posizione sulla questione. (la redazione) 

Livorno, 2 agosto 2010

Ho evitato, sinora, di prendere parte alla caotica ed assai discutibile discussione aperta sulla mia persona sulle pagine dei giornali locali e non solo.

Qualcuno, con grande umorismo, lo chiama dibattito e confronto politico, dimensione che continuo a ritenere stimolante ed affascinante.

Ma c’è una precondizione da cui nessuno può prescindere: c’è confronto quando le parti si riconoscono legittimità di interlocuzione e rispetto reciproco, cosa che io ho praticato quotidianamente nei miei dieci anni di attività amministrativa, come consigliere comunale, anche con l’opposizione di centro destra.

Io non ho nemici, ho la mia visione delle cose e del mondo, vivo il mio impegno sociale e civile con passione ed entusiasmo, mosso ancora da grandi idealità (non ideologie), sogni e speranze, nonostante la difficoltà con le quali ci confrontiamo.

Forse il mio rapporto quotidiano con cittadini che esprimono forme importanti di sofferenza, disagio, povertà, esclusione e difficoltà sociali, economiche ed esistenziali, riesce ancora a farmi apprezzare i valori della vita, l’importanza delle emozioni e dei sentimenti anche nella dimensione politica.

Non mi appartiene culturalmente la dimensione degli “ex”: ex terrorista, ex detenuto, ex tossicodipendente etc. E’ quasi un marchio, un indelebile stigma sociale che nega l’energia e la forza del cambiamento, è il non riconoscere le straordinarie risorse e capacità che ogni uomo o donna ha dentro di sé. Una comunità solidale dovrebbe avere la capacità e gli strumenti per tirarle fuori, valorizzarle ed investire su queste per sviluppare il senso della piena cittadinanza e della partecipazione.

Non credo in una società in cui, per alcune fasce di popolazione, ci possano essere diritti minori, anzi ne sono terrorizzato, la storia del nostro Paese dovrebbe averci insegnato qualcosa. I diritti non sono merce negoziabile ma il caposaldo di una società democratica e pluralista.

La mia persona e la mia vita sono state oggetto in questi ultimi tempi, invece, di una aggressione che non ha precedenti, di uno scempio che nemmeno vagamente richiama il confronto politico, di una delegittimazione sistematica e continua. Basta leggere i vari comunicati e commenti sulla pagina appositamente aperta contro di me su Faceebook per comprendere che di tutto si tratta meno che di un dibattito politico. Viene addirittura offesa l’Arci, Associazione di cui con onore sono presidente da oltre 11 anni, democraticamente rieletto ad ogni scadenza congressuale: perché noi i congressi li facciamo!

Questa cultura dello scontro e della delegittimazione non mi appartiene ed è solo questo il motivo per cui sinora ho taciuto.

Se il sig. Romiti voleva un confronto politico sulla questione del Garante con il sottoscritto doveva solo sollecitarlo con le forme che la politica e l’etica richiedono. Io non temo nessun confronto; al contrario, penso di avere ancora qualche idea e qualche buon ragionamento da spendere. E sarei stato anche disponibile a discutere di ben altro ancora. Ma con il suo primo comunicato, oggetto della mia recente citazione a giudizio, ha chiaramente palesato le sue finalità, ben lontane da una aperta e franca discussione.

E la questione non è terminologica sulla parola compagno od amico: ma è sulla storicità dell’evento cui fa riferimento che dovrà rispondere, con ampia facoltà di prova ovviamente, nel giudizio che intendo portare sino a compimento avanti ad un democratico Tribunale dello Stato Italiano.

La modalità con cui si è trattato questo argomento e la mia persona sono la vera sconfitta della democrazia; si è legittimamente scelta una strada per cui non capisco lo stupore per la mia reazione ed il richiamare oggi, quello che si è rifiutato sin dall’inizio, cioè un civile confronto politico.

La dignità di ogni persona, anche della più umile e meno rappresentata, è un bene assoluto della convivenza fra uomini e donne, il vero tessuto connettivo di una intera comunità e di un Paese, un valore non solo politico ma anche etico e spirituale.

Questo leggo negli occhi delle persone che incontro in carcere ed in altri luoghi, questa la gratificazione per un progetto andato a buon fine: non solo la ritrovata libertà o un inserimento socio lavorativo, ma il ritrovare il senso di appartenenza, di condivisione cioè la dignità di un uomo o di una donna di risentirsi pienamente cittadini e non “ex” di qualcosa.

Questo l’impegno, giorno dopo giorno, dei miei ultimi 25 anni: con grande umiltà mi sento “l’uomo nuovo” amabilmente descritto da quel grandissimo uomo, padre e filosofo che è stato il compianto Padre Ernesto Balducci, che ho avuto la fortuna e l’onore di incontrare, molti anni addietro, nel percorso della mia vita, esistenza che da quell’incontro è rimasta profondamente segnata.

E comunque si concluderà questa vicenda le mie motivazioni ed il mio impegno civile e sociale non verranno certamente meno; anzi ben lontano dal sentirmi intimidito o disorientato, forte anche delle centinaia di testimonianze di vicinanza e solidarietà, penso di rinnovare ed investire maggiore passione ed entusiasmo nel complesso lavoro di tutti i giorni.

Questo devo a me stesso ed alla comunità nella quale vivo.

Marco Solimano