Furia cieca: il farwest 5e5 pane e torta.

# 7

20 mm. Un grandangolo sulle mutazioni del presente.

Furia cieca: il farwest 5e5 pane e torta

Via dei Mulini a Livorno ieri si è trasformata in un ring di linciaggio al rumeno, uno spazio dove farsi giustizia in proprio. Nel tardo pomeriggio una folla di cittadini livornesi ha assediato per ore l’edificio in cui risiedono due rumeni, padre e figlio, che poco prima avevano “pestato” due livornesi, anch’essi padre e figlio, colpevoli ai loro occhi di averli rimproverati per essersi sbarazzati di una lavatrice rotta depositandola accanto a un cassonetto.

Il fatto, già grave di per sé ed evidentemente sottoposto a indagini, ha sollevato un dibattito rispetto a una serie di preoccupanti criticità del territorio la cui lettura non può essere rimandata oltre.

Precisisamo a scanso di equivoci che l’azione violenta inizialmente compiuta dai due cittadini rumeni, qualora ne siano accertate le effettive responsabilità, è grave e deve essere sanzionata nei termini di legge.

Ma l’elemento sul quale ci preme soffermarci di più è quella legata alla situazione complessiva, al generale clima che si è creato, ai comportamenti poco piacevoli che sono stati messi in atto e, non ultimo, ai poco confortanti punti di vista che sono stati espressi da alcuni cittadini nel corso dell’assedio all’abitazione dei due rumeni.

L’impressione, che è qualcosa di più di una sensazione, è che la cultura del “farsi giustizia da sè”, non di rado legata a uno spirito leghista quando i conflitti di vicinato coinvolgono anche cittadini immigrati, si stia diffondendo in modo sempre più capillare e visibile anche nella nostra città.

L’immagine di 100 persone in attesa per strada con l’idea di effettuare un pubblico linciaggio lascia in bocca un sapore amaro, anche perchè legata, come sempre accade in questo casi, alla costruzione in diretta di uno show pubblico, la cui successiva narrazione risulterà inevitabilmente una forma di estrema semplificazione e camuffamento della realtà, e nello stesso tempo il completo rifiuto dei tempi, dei modi e dei luoghi in cui le conflittualità dovrebbero essere mediate e pacificate.

Di fatto ieri di eventi gravi ne sono successi almeno due: da un lato il pestaggio di un padre e un figlio che avevano semplicemente richiamato i loro vicini a un corretto comportamento civico, dall’altro lo scatenarsi di un ring da farwest alla livornese dove qualcuno si è sentito in diritto e dovere di farsi giustizia da solo e sostituirsi al ruolo delle forze dell’ordine, delle istituzioni e perfino del potere giudiziario.

Livorno è una città che, come molte altre medie e grandi città italiane, sta subendo profondi cambiamenti nella propria composizione sociale ed economica, dovuti in particolare alle crescenti difficoltà occupazionali, alla diminuzione dei diritti e delle tutele lavorative, all’impoverimento graduale che colpisce fasce di popolazione sempre più ampie ed eterogenee; fenomeni che incidono non solo sul livello della qualità della vita dei singoli e delle famiglie, ma che inevitabilmente mettono alla prova anche la capacità di definire percorsi comuni di convivenza e riconoscere di una mappa comune di comportamenti e valori.

È questa mappa di comportamenti e valori che lentamente sta incrinandosi per lasciar emergere l’idea della violenza come elemento di regolamentazione dei rapporti, e che conseguentemente necessita di essere ricostruita, proprio a partire dalle criticità e dai cambiamenti che questa città ha subito negli ultimi 15 anni. Livorno non è una “riserva indiana” dove le cose rimangono immutate per decenni e dove la semplice appartenenza ideologica ad una identità politica diffusa ci preserva da derive punizioniste o peggio ancora da una cultura leghista in cui il territorio e i suoi beni sono prima di tutto proprietà di chi vi è nato e vi abita da sempre, e che per questo è legittimato a stabilirvi arbitrariamente le leggi che in esso devono vigere.

Questa cultura sociale e politica purtroppo è molto spesso fatta di ignoranza, di scarso rispetto e del mancato riconoscimento delle istituzioni, e per questo tende a far prevalere la legge del più forte rispetto alla cultura della reciprocità.

E’ un modo di intendere e interpretare le relazioni sociali che sempre più si sta diffondendo sull’onda dell’avanzata leghista, e che nei suoi momenti limite celebra il  linciaggio del diverso, inteso come colui che si affaccia indebitamente sui nostri territori e nei nostri quartieri.

E’ del resto evidente come le difficoltà sociali ed economiche accumulate in questi anni dai cittadini livornesi rappresentino una difficoltà a cui la politica non può sottrarsi dal dare risposte, poiché proprio sull’amplificazione del senso di insicurezza sociale, che nasce proprio dalla povertà crescente, dalla precarizzazione delle esistenze e dalla scarsa istruzione, che esplode la violenza contro il nosro vicino.

In particolare l’abbassamento del livello culturale apre spazi importanti e fecondi all’insinuarsi della pratica della violenza di vicinato, e delegano alla “giustizia fai da te” la ridefinizione dei confini, basata sul concetto di “padroni a casa nostra”.

La violenza chiama inevitabilmente violenza là dove non esistono più condivisione, riconoscimento e prossimità.

Sembra un po’ come nel libro di Saramago, Cecità, dove la vista si ovatta e lo stomaco dà il via alle forme di più tribali di relazione sociale, alla legge del più forte e del più duro, che può dire e fare “cosa cazzo gli pare” in casa sua.

Infine, dato forse ancor più preoccupante poiché nuovo, la giornata di ieri ha visto inoltre forme di tensione  e violenza anche tra cittadini livornesi, poiché anche coloro che sono scesi in strada con l’intento di pacificare gli animi sono stati minacciati e colpiti: quando anche il mediatore finisce ko, significa che tutte le regole sono saltate.

Non rimane dunque altro da fare che provare a ricostruire insieme questa mappa di comportamenti e valori, e vincere la sfida della complessità tutelando i diritti di tutti.