N°6 Solo cambiando il paradigma economico si potrà parlare di sostenibilità reale

La discussione verso Rio+20 è seria e impegnativa: coinvolge sindacati, attori sociali, istituzioni, mette a confronto idee diverse, produce conflitto e convergenze, necessari a un progetto di futuro. In questo numero, pubblichiamo un articolo di Leonardo Boff. Il teologo critica fortemente l’interpretazione di ‘sviluppo sostenibile’ sposata da governi e mercati, alla ricerca di nuove vie per il profitto nel tempo della crisi.

I documenti ufficiali dell’ONU così come la bozza attuale del documento di Rio+20 dedicano grande spazio al modello di sviluppo sostenibile: deve essere economicamente realizzabile, socialmente giusto e ambientalmente corretto. È la famosa tripletta chiamata Triple Bottom Line (la linea dei tre pilastri) creata nel 1990 dal britannico John Elkington, fondatore della ONG SustainAbility. Ma questo modello non resiste a una critica seria. Sviluppo economicamente realizzabile: nel linguaggio politico dei governi e delle imprese, sviluppo equivale al prodotto interno lordo, il Pil. Guai alle imprese e ai paesi che non abbiano indici positivi di crescita annuale! Entrano in crisi o in recessione con la conseguente diminuzione del consumo e generazione di disoccupazione: nel mondo degli affari, sviluppo significa guadagnare denaro, con il minor investimento possibile, con la massima rendita possibile, con la concorrenza più forte e nel minor tempo possibile.

Quando parliamo di sviluppo non parliamo di uno sviluppo qualsiasi ma di quello che esiste realmente, che è industrialista/capitalista/consumista. Questo sviluppo è antropocentrico, contraddittorio e sbagliato. Mi spiego. È antropocentrico perché è centrato solamente sull’essere umano, come se non esistesse la comunità della vita (flora, fauna e altri organismi vivi) che necessitano anche loro della biosfera e ugualmente domandano sostenibilità. È contraddittorio, poiché sviluppo e sostenibilità obbediscono a logiche contrapposte. Lo sviluppo realmente esistente è lineare, crescente, sfrutta la natura e privilegia l’accumulazione privata. È l’economia politica della corte capitalista.
La categoria sostenibilità, al contrario, proviene dalle scienze della vita e della ecologia, la cui logica è circolare e includente. Rappresenta la tendenza degli ecosistemi all’equilibrio dinamico, alla interdipendenza e alla cooperazione di tutti con tutti. Come si deduce, sono logiche antagoniste: una privilegia l’individuo, l’altra il collettivo; una promuove la competizione, l’altra la cooperazione; una la evoluzione del più adatto, l’altra la evoluzione di tutti interconnessi. È sbagliato, perché afferma che la povertà è la causa del degrado ecologico. Per tanto, quanta meno povertà, più si avrà sviluppo sostenibile e meno degrado, il che non è vero. Analizzando criticamente le cause reali della povertà e del degrado ambientale, si vede che esse derivano, in modo non esclusivo ma sicuramente in gran parte, dal tipo di sviluppo praticato. È esso che produce degrado, perché dilapida la natura, paga bassi salari e così genera povertà. Questo sviluppo sostenibile è una trappola del sistema imperante: assume i termini della ecologia (sostenibilità) per svuotarli.
Assume l’ideale della economia (crescita) nascondendo la povertà che esso stesso produce.
Socialmente giusto: se c’è una cosa che l’attuale sviluppo industrial/capitalista non può dire di se stesso è che sia socialmente giusto.
Se lo fosse, non ci sarebbero 1,4 miliardi di affamati nel mondo e la maggioranza delle nazioni nella povertà.
Prendiamo solo il caso del Brasile. L’Atlante Sociale del Brasile del 2010 (IPEA) riferisce che 5000 famiglie controllano il 46% del Pil.
Il governo destina annualmente 125.000 milioni di reales al sistema finanziario per pagare con gli interessi i prestiti fatti e destina solamente 40.000 milioni di reales ai programmi sociali destinati alla grande maggioranza  di poveri. Tutto questo denuncia la falsità della retorica di uno sviluppo socialmente giusto, impossibile dentro l’attuale paradigma economico. Ambientalmente corretto: nel tipo attuale di sviluppo si sta portando a compimento una guerra implacabile contro Gaia, strappando da essa tutto quello che è
utile e oggetto di lucro, specialmente a quelle minoranze che controllano il processo.
Secondo l’indice Pianeta vivo dell’ONU (2010) in meno di 40 anni la biodiversità globale ha sofferto una caduta del 30%.
Solamente dal 1998 ad oggi si è avuto un salto del 35% nelle emissioni di gas a effetto serra. Invece di parlare di limiti della crescita, meglio sarebbe che parlassimo di limiti della aggressione alla Terra.

In conclusione, il modello di sviluppo che si vuole sostenibile è retorico. In esso si verificano avanzamenti nella produzione a basso carbonio, nella utilizzazione di energie alternative, nel rafforzamento delle regioni degradate e nella creazione di migliore eliminazione di residui. Ma facciamo ben attenzione: tutto questo si fa sempre in modo che non si pregiudichino i guadagni nè si indebolisca la competizione.
L’utilizzazione della espressione ‘sviluppo sostenibile’ ha un significato politico importante: il cambio necessario del paradigma economico, se quella che vogliamo è una sostenibilità reale. In quello attuale, la sostenibilità o è localizzata o inesistente.