di Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente
Bisogna guardare nel territorio per capire l’importanza delle fonti rinnovabili e il futuro dell’energia. È infatti impressionante la crescita degli impianti, da fonte diversa, grandi e piccoli, che interessa oramai praticamente tutti i Comuni italiani.
Soprattutto, è nei territori che si comprende realmente cosa vuol dire un modello di generazione distribuito, fatto di centinaia di migliaia di impianti diversi rinnovabili ed efficienti, e la diversità con il sistema di produzione costruito nel ‘900 intorno alle fonti fossili, alle grandi centrali. Raccontare questa realtà è da 6 anni l’obiettivo che si pone il Rapporto Comuni Rinnovabili di Legambiente, che monitora e fotografa lo sviluppo degli impianti nel territorio italiano.
I dati che verranno presentati il 28 marzo mostrano quanto oggi queste tecnologie siano diventate competitive. A smentire chi sostiene che questi impianti siano inutili, inefficienti e marginali sono diversi risultati significativi.
Intanto, anno dopo anno, cresce il numero di Comuni al ‘100% rinnovabili’, ossia quelli che soddisfano tutti i fabbisogni delle famiglie – sia quelli elettrici che quelli termici, di riscaldamento e acqua calda sanitaria – attraverso impianti solari, eolici, da biomasse, geotermici, miniidroelettrici. In una delle cartine del Rapporto si evidenzia questo dato con grande chiarezza e risulta particolarmente interessante vedere come a questo mix, in particolare per la parte elettrica, siano impianti diversi a contribuire, a seconda dei territori e delle Regioni, proprio perché diverse sono le risorse presenti da valorizzare.
La prima lettura di questo processo, quella più importante, va fatta guardandola dal basso. Nella prospettiva di riuscire a soddisfare progressivamente, con impianti rinnovabili ed efficienti, i fabbisogni di Comuni, aziende, edifici. La seconda lettura, quella su cui si sofferma il dibattito politico e mediatico, riguarda invece i numeri assoluti. Ossia il contributo che le fonti pulite forniscono rispetto al fabbisogno generale del Paese.
Qui è interessante evidenziare, a quasi un anno dal referendum che ha spazzato via – speriamo per sempre – il nucleare dallo scenario energetico italiano, come una delle promesse di Berlusconi si sia realizzata con diversi anni di anticipo. L’allora Premier aveva proposto uno scenario energetico in Italia composto al 25% da energia elettrica prodotta da nucleare, al 25% da rinnovabili, il restante 50% da altri impianti.
Bene, le rinnovabili nel 2011 hanno già superato quell’obiettivo, e siamo a oltre un quarto di produzione rispetto ai fabbisogni elettrici, e non vi è alcuna ragione per cui questo contributo non debba continuare a crescere nei prossimi anni. È proprio in questa direzione che guarda l’Europa che ha già fissato obiettivi vincolanti di crescita delle rinnovabili e riduzione delle emissioni di CO2 al 2020, e che recentemente ha presentato uno scenario di riduzione dei gas serra fino all’80% al 2050.
Un Paese come l’Italia ha tutto l’interesse a guardare in questa direzione. È, del resto, l’unica possibilità per ridurre le importazioni di petrolio, carbone, gas, addirittura per spendere meno ma vivere in un Paese meno inquinato e più moderno.
E se riusciremo a rendere possibile questo modello distribuito da noi, sarà più semplice aprire una speranza per i tanti Paesi del mondo che sono esclusi da qualsiasi speranza di uscita dalla povertà perché non hanno giacimenti di petrolio sotto terra o non hanno i soldi per comprarlo.