La domanda di politiche e di investimenti pubblici per la cultura rischia di essere stritolata tra le difficoltà a cui la spesa pubblica deve rispondere e i vincoli che le vengono imposti in nome di una crescita di cui non si vede traccia.
In questo scenario la Commissione Europea ha proposto di aumentare del 37% i fondi per i programmi dell’Unione destinati alla cultura nel periodo 2014-2020, in totale 1,8 miliardi di euro. Una somma piccola, ma una decisione importante, risultato di un buon lavoro preparatorio a cui ha contribuito anche il dialogo tra le istituzioni e le organizzazioni non governative.
Piccola se si pensa all’Europa intera, ai suoi 500 milioni di abitanti ed al periodo di sette anni a cui le risorse sono destinate.
Piccola se rapportata ai complessivi 1.025 miliardi che costituiscono il bilancio comunitario.
Importante perché in uno scenario dominato dal controllo della spesa pubblica ‘improduttiva’, da molte parti si era levata la richiesta di cancellare queste politiche a livello europeo, perché non essenziali.
Importante perché la posizione della Commissione indica una crescente consapevolezza che la vita culturale è una delle gambe fondamentali di ogni politica di sviluppo sostenibile e non un accessorio di altre politiche. Ci sono elementi della proposta Europa Creativa che possono essere migliorati nell’azione parlamentare.
Quel che più conta è ora dare forza a ciò che questo ‘piccolo’ progresso significa: risorse per progetti culturali, per progetti media e per reti europee. Ma significa anche riaffermare che il futuro dell’Europa si fonda sulla ricchezza del suo patrimonio culturale, sulla capacità costante di innovarlo, sulla forza sociale di valori immateriali e sulla capacità di dialogo che si radica nella vita culturale. Nei prossimi mesi si decidono le politiche e il bilancio dell’Ue per i prossimi sette anni. Si prendono decisioni delicatissime, molto lontano dall’attenzione dei cittadini spesso ignari delle scelte che compiono i loro rappresentanti. Molti parlamentari europei hanno dimostrato attenzione e sensibilità. Non di può dire lo stesso per tutti i governi nazionali. Sono diversi quelli si dichiarano esplicitamente contrari ad ogni aumento delle spesa e lo scorso 15 marzo il ministro inglese per la cultura ha dato loro voce dichiarando la sua contrarietà in nome della crescita e del controllo della spesa. Necessaria implicazione di questo punto di vista è che lo spazio pubblico culturale non è considerato un contributo alla crescita.
È importante far sentire a Bruxelles che molti cittadini europei sono favorevoli alla proposta avanzata dalla Commissione e chiedono più decisi investimenti pubblici in cultura. È altrettanto importante che il messaggio raggiunga rapidamente i governi degli stati membri (e quelli delle regioni), le cui decisioni avranno un peso determinante. La campagna We are more serve a questo, a dare voce alla domanda di sostenibilità e di sviluppo, alla domanda di cultura che si leva da molte parti ma che con difficoltà trova la strada per influenzare le decisioni. La recente adesione di Gianna Nannini è un ottimo avvio per la campagna in Italia. Serve ora che ad essa si associno le tantissime voci che fanno dell’Italia un paese vitale.