Dopo Torre Galfa anche Palazzo Citterio. Il collettivo milanese di Macao è stato sgomberato anche dallo storico edificio del Ministero dei Beni Culturali nel cuore di Brera dove aveva messo radici dopo qualche giorno di agorà aperta in via Galvani a seguito del primo sgombero. E giace in silenzio stampa. Giace perché il suo appare come un silenzio denso di significati e di interrogativi.
Giace perché non ha e non ha avuto ancora tempo e modo di definire una direzione, di riempire di contenuti quelle urgenze, quei bisogni, quelle aspettative che è riuscito a catalizzare nei primi giorni di occupazione della sentinella di proprietà di Ligresti.
È vero che non era un problema di ordine pubblico ma tutte le azioni e alcune posizioni assunte intorno a questo movimento hanno fatto di tutto per trasformarlo in questo.
Perchè la questione che Macao aveva posto con voce dirompente alla città di Milano, ovvero la questione delle utilità comuni, sociali, dei beni sottintende la ben più insidiosa questione proprietaria, gli abusi dell’accumulo proprietario, le connivenze tra pubblico e privato che scompaginano l’ordine delle cose a tutto disinteresse della cittadinanza.
In una parola, quella utilizzata da Ugo Mattei su Il manifesto del 22 maggio scorso, la forza costituente dell’occupazione si opponeva in modo sovversivo con l’idea della creatività artistica e culturale, battendosi per una realizzazione effettiva del concetto di uguaglianza sostanziale. Non è stato neanche un problema di spazi, eppure lo è diventato. Non mancano a Milano i luoghi da occupare ma non sono evidentemente gli spazi fisici che interessano agli attivisti dell’arte di Macao. Per questo probabilmente hanno rispedito al mittente, non senza una vena a tratti spocchiosa e arrogante, la proposta avanzata dall’amministrazione Pisapia di partecipare con bando regolare all’assegnazione dell’area ex Ansaldo. E proprio all’ex Ansaldo hanno partecipato, durante i giorni di occupazione di Palazzo Citterio, all’assemblea indetta dall’Assessore Boeri e che ha visto il coinvolgimento di numerose associazioni nella discussione sul futuro culturale e creativo delle ex officine. Qui Macao ha partecipato con la lettura di un proprio comunicato e si è accomodato fuori dalla porta. Questo è in parte quello che Macao non è stato ma che nel corso di questa primavera milanese è diventato a volte suo malgrado. Quello che è o quello che potrebbe diventare prima che si spengano le luci, prima che il silenzio eroda il consenso già pregiudicato da alcune scelte, dobbiamo ancora capirlo.
Macao rivendica politiche culturali della città diverse, che siano nuove e partecipate. La vera sfida di oggi, nel tempo sospeso del silenzio stampa, dei lavori in corso, è dare una fisionomia alle idee, al progetto politico. Provare a trarre insegnamento dalle ingenuità o dalle pecche di arroganza che hanno contraddistinto alcuni atteggiamenti.
Dalla severità di andare in una direzione piuttosto che in un’altra. E il tutto per non vanificare la questione che Macao ha messo davanti agli occhi di tutti i milanesi in un pomeriggio di maggio.
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