Settemila studenti con il viso colorato e l’arcobaleno sulle mani. Silenziosi si passano magliette bianche che recitano Io non ho paura, il mantra che rende lo sgomento consapevolezza che così non va. Che se fino al giorno prima andare in classe ha del rituale, oggi deve diventare un chiaro messaggio: la scuola ci fa crescere come sognato. Cittadini consapevoli che la cultura è il vero cavallo di Troia, che può e deve fare la differenza. Lo gridano dal palco: andranno a scuola per imparare a partecipare, a fare comunità, a elaborare insieme il sistema di idee capace di cambiare. Brindisi sabato scorso è stata la città del silenzio, del tempo immobile, del fruscio dei quaderni rimasti sull’asfalto, davanti alla Scuola Morvillo Falcone. A distanza di una settimana, sotto la pioggia battente, i ragazzi attraversano la città e rompono quel silenzio, fanno risuonare l’impegno. In questi sette giorni sono stati insieme, hanno parlato, hanno cercato risposte ma – è evidente – si sono fatti tante domande. Su chi, perché, e come sia stato possibile violare la scuola, il luogo in cui si affida il futuro della comunità allo Stato. E nelle ‘lettere a Melissa’ che i ragazzi leggono in Piazza della Vittoria cresce la consapevolezza che questa non sia una guerra di cui loro sono vittime, come recitava uno striscione nella piazza di Mesagne, una settimana fa: «Questa è una guerra tra stato e mafie e noi siamo le vittime». Parole figlie della paura. I giornalisti fanno eco alle dichiarazioni dei boss della Sacra Corona Unita dal carcere: «non siamo stati noi, ma lo prenderemo e faremo giustizia per Melissa». E subito arriva la risposta delle Assemblee studentesche e di Arci, Libera e CGIL che hanno sostenuto questa manifestazione: che nessuno si sostituisca allo Stato, che nessuno possa mai pensare che – di fronte a un omicidio che lascia ogni traccia aperta – qualcuno possa accettare la risposta di «chi è mafioso per definizione nel momento stesso in cui decide della vita altrui», omicida che sia. Questi ragazzi scesi per le strade di Brindisi, di paura non ne hanno e ci dicono che ora vogliono organizzarsi, per chiedere che qualsiasi sia la matrice di quel tragico gesto, a pagare davvero sarà la mentalità mafiosa che della scuola ha fatto ‘altro’ dallo Stato. Emoziona tutto questo: hanno 14, 16, 20 anni. E hanno la voglia di ripartire da qui, elaborare il loro dolore e farne impegno collettivo. È un corteo colorato e composto, com’è la verve di chi conosce la propria destinazione, e ha voglia di arrivarci decidendo insieme la strada da fare. Accanto a loro, questa volta, non ci sono i politici dell’ultim’ora, corsi a dare il proprio premuroso cordoglio dal palco. Ci sono le lavoratrici e i lavoratori della Cgil, i ragazzi dei circoli Arci e dei presidi di Libera. Sono al fianco degli studenti per ricordare – con le parole di Alessandro Cobianchi – che quel pezzo di Stato bombardato siamo noi e che quella stessa «paura esplosa nella piazza è coraggio nato dalla rabbia strozzata in gola». Sono le parole dedicate a Giorgiana Masi che accolgono la forza di reazione dei ragazzi.
Pochissimi insegnanti, ci dicono, di quella scuola come di altre sono alla manifestazione. Di questa assenza dovremmo farci carico: questo percorso ha bisogno di tutto il nostro sostegno perché, una volta ancora, non si sentano soli. E sarà ancora più importante quando il Barnum di questi giorni leverà le proprie tende.