Il lavoro che non c’è. Barricati nelle viscere della terra per impedire che venga seppellito il proprio futuro

Non ci si può immaginare una rappresentazione più forte della morte del lavoro in Sardegna di quella messa in atto alcuni giorni fa da diversi operai della Carbosulcis nella miniera di Nuraxi Figus: lavoratori che scelgono di barricarsi nelle viscere della terra per porre all’attenzione di tutti l’inesorabile seppellimento di qualsiasi prospettiva di futuro e dignità per loro stessi e per le loro famiglie. Come molti altri lavoratori pagano il prezzo più alto di una crisi che sfinisce la Sardegna ormai da troppo tempo e a cui l’attuale drammatica congiuntura internazionale potrebbe dare il colpo di grazia finale. Sprofondano, insieme alle legittime richieste dei lavoratori, anche le loro comunità e tutta la società sarda che per l’ennesima volta si sentono abbandonate al proprio destino da quelle stesse logiche politiche, economiche e industriali che le avevano sedotte con l’effimera illusione di un modello di sviluppo imposto dall’alto e di stampo colonizzatore, in molti casi datato e inadatto a quella necessaria flessibilità di riconversione che avrebbe potuto fare la differenza e che oggi va reinventata ex-novo. L’Arci ha espresso la sua solidarietà ai lavoratori e alle loro famiglie che si trovano costretti a intraprendere forme di lotta così estreme per riuscire a squarciare quel velo di assuefazione e indifferenza che sembra oggi pervadere la società nel suo insieme e singolarmente i cittadini, preoccupati e indaffarati nel riuscire a non affondare a loro volta. La successiva decisione di sospendere l’occupazione determina di fatto una tregua armata: i lavoratori non si fidano più di nessuno, servono risultati solidi e sicuri, accordi non equivoci sul futuro della miniera. Slitta invece al 10 settembre l’incontro tra Alcoa e Ministero in attesa che la multinazionale Glencore dia un segno di interesse verso l’acquisizione dell’azienda produttrice di alluminio: un esile spiraglio che si gioca tutto sul costo dell’energia, tra la possibilità di insediare nuove pale eoliche e il pacchetto quindicennale di opportunità (guai a chiamarli aiuti, l’Ue non lo permetterebbe) proposto dal Governo. Ma se il sud-ovest piange altrove, in Sardegna, non si ride.

Dopo che si sono spenti i riflettori sulla protesta attuata dai lavoratori con l’occupazione dell’isola dell’Asinara, ribattezzata ‘isola dei cassintegrati’, nonostante l’abbondanza di promesse di imminente soluzione da parte di Ministri, Sottosegretari e politici di vario lignaggio, non vi è stato alcun esito favorevole per la Vinyls. Per questo Sindaci e consiglieri regionali del centrosinistra hanno proposto in questi giorni un documento sul futuro del polo chimico di Porto Torres al Presidente della Regione, con l’impegno dell’apertura imminente di un tavolo col Governo insieme ai sindacati e agli Ee. Ll. del territorio. I lavoratori della Vinyls dal mese di maggio non ricevono lo stipendio e dal 9 giugno è scaduta la cassa integrazione e il Mi.S.E. non si è ancora pronunciato sulla proroga.

«Bacia la mano che ruppe il tuo naso perchè le chiedevi un boccone» cantava De Andrè in un suo celebre Testamento: così se oggi dovessimo farne uno anche noi vorremmo guardasse all’avvenire delle giovani generazioni di sardi che con ostinazione non vogliono più intraprendere la via di una nuova emigrazione, per trovare la speranza di un futuro di vita dignitoso nella propria terra. Se la storia ha un senso e noi il dovere di imparare da essa è giunto il momento di agire il cambiamento, portare responsabilità e giustizia nelle scelte pubbliche, con coraggio e determinazione.