Un ricorso più politico che tecnico

di Bianca Pomeranzi, Esperta del Comitato per la Convenzione sulle Discriminazioni contro le Donne (CEDAW) delle Nazioni Unite

 

Se c’era un modo per dimostrare la continuità ‘bio-politica’ del Governo Monti con il primo decennio degli anni duemila che hanno così negativamente segnato l’Italia, quello lo ha imbroccato perfettamente il Ministro della Sanità Balduzzi anticipando l’intenzione del Go­verno di far ricorso contro la sentenza della Corte Europea che stabilisce il diritto di due genitori, portatori sani di fibrosi cistica, di fare l’analisi all’embrione prima dell’impianto in difformità da quanto stabilisce la legge 40 del 2004 per la procreazione assistita. Vale la pena ricordare che sulla materia in que­stione si sono diversamente espressi i Governi di centro sinistra e di centro destra. Nel 2008 Livia Turco, attraverso nuove Linee Guida applicative, abolì il divieto di diagnosi preimpianto sull’embrione, ma poche ore prima della caduta del Governo Berlusconi, il 16 novembre 2011, la Sotto­segretaria alla Salute Eugenia Roccel­la tornò a imporlo. Balduzzi dunque, preoccupato di ‘fare il tecnico’ in un mare così tempestoso e per non ripetere il flop del suo recente Decreto, ha annunciato ‘sobriamente’ che il ricorso è finalizzato a ridefinire le competenze ‘giurisdizionali’ tra i singoli paesi e la Corte europea. In realtà non ha fatto che ripetere quanto già detto dal Cardinale Angelo Bagnasco che nella sentenza della Corte Europea ha visto e denunciato lo scavalcamento della nostra magistratura. La Corte Europea nel suo giudizio ha stabilito infatti che la legge 40 ha violato il diritto rispetto alle scelte di vita riproduttiva dei due genitori: Rosetta Costa e Walter Pavan a cui il Governo italiano dovrà dare un risarcimento.

Inoltre, la Corte ha rilevato l’incoerenza del sistema legislativo italiano che con la legge 40 priva i richiedenti dell’accesso alla diagnosi genetica pre-impianto e, con la legge 194, li autorizza a una interruzione di gravidanza se il feto risulta affetto da quella stessa patologia. La sentenza di oggi ancora non è definitiva, entro tre mesi entrambe le parti possono chiedere il rinvio del giudizio all’Alta Camera della Corte Europea per i diritti umani. Proprio questa possibilità ha spinto l’Avvenire e tutti i sostenitori della Legge 40 a scendere in campo contro la sentenza della Corte europea interpretata come difesa dell’eugenetica e con la pressante richiesta al Governo di fare ricorso.

Dunque i sostenitori di questa legge che è stata vissuta come l’anti 194, ovvero la legge per l’interruzione di gravidanza, e che risulta essere oscurantista ma anche inapplicabile, sono di nuovo in campo e forse sperano di ripetere il successo ottenuto nel Referendum del 12 e 13 giugno 2005. La realtà li ha comunque già sconfitti, in primo luogo dal punto di vista giuridico poiché sono ormai numerose le sentenze dei Tribunali italiani contro le norme della legge 40, tra cui la più rilevante è quella della Corte Costituzionale del 2009 che considera illegittime le disposizioni restrittive in merito al numero degli embrioni e di un’unica possibilità di impianto. In pratica poi la legge ha generato il fenomeno del ‘turismo procreativo’ a cui fanno ricorso le coppie italiane, che se lo possono permettere, per superare i divieti imposti dalla legge.

Si tratta di un esercizio costoso che richiede frequenti viaggi della speranza in altri paesi europei e che dovrebbe far riflettere sull’efficacia di questa legge. La legge 40 rappresenta una brutta storia e una brutta pagina del ventennio berlusconiano che non si vuole definitivamente liquidare e che continua a tenere in ostaggio non solo la ricerca medica e i diritti umani, ma soprattutto il corpo delle donne e l’immaginario di un’Italia che vorrebbe scuotersi dal passato e sentirsi più europea.

Il ‘referendum perduto’ per l’abolizione della legge ha segnato un’intera generazione di giovani donne, che tuttavia hanno continuato a impegnarsi contro il dilagare della mentalità sessista di quegli anni. Oggi le istituzioni e la politica, che di quell’impegno hanno indubbiamente beneficiato, dovrebbero in primo luogo sentire il dovere di dare una risposta seria a quelle donne evitando il ricorso e poi mettendo tra le priorità future la riforma di una legge dannosa e incivile che offende la libertà e la responsabilità della procreazione. Sarebbe un segnale forte di quel cambiamento che anche una parte dei cattolici sembra volere.