Celle aperte alle Sughere e canzonette in libertà

di Cristiana Grasso
da “Il Tirreno del 22-09-2012”

LIVORNO. Una giornata particolare e un concerto che coinvolge tutti i detenuti Così lo slang labronico dei Licantropi abbatte le barriere e anima la “sezione”. La chiave è proprio quella dell’immaginario collettivo, una grande chiave di ottone che apre le pesanti cancellate all’ingresso delle sezioni. E se il colore azzurro delle sbarre delle finestre dà un tocco frivolo allo scenario grigio cemento, i panni stesi all’interno e le braccia che si sporgono fuori rimettono subito le cose a posto: siamo alle Sughere, un carcere che ospita attualmente oltre 130 detenuti, tutti maschi, parzialmente spopolato in attesa che si inauguri il nuovo edificio ultra moderno, pannelli solari e docce “private”, ma l’inaugurazione doveva avvenire a giugno e per ora è tutto fermo.

Un carcere come tanti, con le sue tensioni e i suoi ritmi, le giornate infinite . Poi arrivano loro, i Licantropi, band dal repertorio umoristico e molto labronico, ed è come se quella chiave non esistesse più, disintegrata da quel “Ballo del favollo” che fa saltellare tutti sulle sedie, battere le mani e chiedere il bis. Un doppio concerto, nell’ex sezione femminile, all’aperto, e nella sezione principale, un lungo corridoio sul quale si affacciano file di celle con dentro i letti a castello. Arrivano qui, con i loro strumenti e una simpatia che fa crollare tutti i muri, i quattro licantropi.

Giocano sulla livornesità («qui di livornesi non ce ne sono tanti, ma noi vi si spiega lo stesso perché i pisani non ci garbano, soprattutto quando dicono gao…»), e anche Karim che viene dal Marocco e Jean che viene dalla Romania intonano il refrain di “De maddé”. Aria di festa insomma ieri in sezione, Giuseppe prepara il caffè sul suo fornellino e la moka gigante per offrirlo al gruppo e agli ospiti. Andrea Landi e Alberto Bindi, Andrea Convalle e Francesco Bucchioni, i ragazzi della band, cantano finché possono «e fosse stato per noi avremmo continuato chissà per quanto…».

E non si sottraggono quando un detenuto napoletano chiede di poter cantare “Je so pazz’” di Pino Daniele mentre loro lo accompagnano e tutti si associano in coro. Un’atmosfera surreale, qui dove non è raro che scoppino risse tra gruppi rivali, nel cortile dell’ex femminile dove sul muro di cinta passeggia l’agente di guardia che però non può fare a meno di ascoltare il concerto.

Gli operatori del carcere, il coordinatore degli educatori Lucio Coronelli, Marco Solimano (garante dei diritti dei detenuti) e il suo collaboratore Alessandro Scotto, Alessio Traversi che da anni qui cura i laboratori teatrali, spiegano che tutto questo successo, tutta questa partecipazione, non se l’aspettavano neanche loro quando hanno organizzato questo pomeriggio speciale. Senza contare che le varie iniziative culturali e spettacolari che si svolgono in carcere raramente superano la barriera delle sezioni ma si tengono in aree comuni e relativamente “aperte” come la sala dove c’è anche una sorta di palcoscenico.

Questa volta invece siamo “in casa” dei detenuti, porte aperte sulle pareti con le foto e i manifesti appiccicati, sui tavolini dove sta per arrivare la cena (formaggio, minestra, insalata), sugli abiti ripiegati sulle sedie. Un ambiente tradizionalmente blindato che improvvisamente si apre e lascia entrare i ritornelli anche parecchio sboccati dei Licantropi che alla fine giocano con droga, sesso e rock’n’roll conquistando definitivamente la platea, Kaled che ha le lacrime agli occhi dalle risate, Marco che chiede se può avere una copia del primo album del gruppo, quello del “De Maddé”.

E se i detenuti sono entusiasti e chiedono alla band di tornare, magari a Natale, i Licantropi sono addirittura emozionati. «Un’esperienza incredibile – dice Andrea Landi – . Non ci immaginavamo di essere accolti così e non eravamo mai entrati in un carcere. Hanno dato molto più loro a noi di quanto noi abbiamo dato a loro».

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