Un mezzo fallimento per il provvedimento sulla regolarizzazione

Lunedì 15 ottobre si chiudono i termini per la regolarizzazione prevista dal decreto legislativo 109/2012 iniziata lo scorso 15 settembre. Ad oggi le domande presentate non superano le 70mila e, per quanto si possa prevedere un aumento negli ultimi giorni, è probabile che le domande alla fine non supereranno quota 100mila.

Considerato che tutte le stime fatte da fonti istituzionali e non, nazionali e internazionali, indicano in almeno mezzo milione il numero delle persone di origine straniera che lavorano oggi nel nostro Paese senza documenti in regola, appare chiara la scarsissima efficacia del provvedimento.

Potremmo anzi dire che alcune delle condizioni poste sono state fissate per impedire a gran parte dei rapporti di lavoro di regolarizzarsi. In particolare, la prova di presenza in Italia al 31 dicembre del 2011 per il lavoratore straniero è chiaramente un ostacolo all’accesso molto difficile da superare: se una persona è senza documenti difficilmente accede a uno di quei servizi a cui fa riferimento il provvedimento – anche nell’accezione più ampia data dall’Avvocatura di Stato – per dimostrare la propria presenza in Italia. L’autodenuncia del datore di lavoro prevista per l’emersione del rapporto di lavoro avrebbe dovuto essere considerata più che sufficiente a testimoniare la presenza in Italia prima dell’apertura della regolarizzazione. Non fidarsi della sola dichiarazione del datore di lavoro equivale a sostenere che potenzialmente ognuna di esse è un falso. Aver introdotto l’onere della prova in capo al lavoratore ha prodotto una grande difficoltà di accesso e certamente facilitato le truffe. Inoltre questa condizione persecutoria si trascinerà dietro una serie di vertenze che aggraveranno i costi collettivi, nonché quelli delle persone coinvolte. A proposito di costi, va ribadito che un’operazione di cassa, il versamento in anticipo di mille euro, legata a una procedura di emersione che già produce un reddito fiscale e contributivo enorme, sembra fatta apposta per scoraggiare i datori di lavoro e i lavoratori, che sanno che nel caso la domanda non vada a buon fine perderanno quei soldi. L’Arci, insieme alle organizzazioni del Tavolo nazionale Immigrazione, ha provato, attraverso un confronto serrato con il Governo, a migliorare le condizioni di accesso. Il risultato di questo confronto purtroppo è deludente. Abbiamo insistito per una proroga pur sapendo che manca la volontà politica, la quale si sarebbe altrimenti palesata prima con la predisposizione di una circolare di chiarimento che ancora non c’è, a pochi giorni dalla chiusura. Il nostro giudizio su questa iniziativa del governo non può che essere negativo. Costretto dalla spinta che veniva dalle forze sociali, dai pareri espressi dalle Commissioni parlamentari coinvolte e dalla voce, quasi isolata, del Ministro Riccardi, a mettere in atto una operazione di regolarizzazione, il governo ha cercato un equilibrio che non scontentasse nessuno, accettando una mediazione al ribasso che avrà un effetto negativo sul mondo del lavoro e sul rapporto tra lo Stato e le persone di origine straniera. Come in molti altri casi, la politica ha rinunciato a fare il suo mestiere e ad assumersi responsabilità pubbliche operando scelte giuste ed efficaci, preoccupandosi invece di evitare motivi di frizione con una parte della maggioranza. In questo i tecnici non sembrano essere diversi da coloro che li hanno preceduti.