Imporre subito la tregua, far tacere le armi

di Flavio Mongelli, responsabile Pace, solidarietà e cooperazione internazionale Arci

 

Non abbiamo esitato a esprimere in questi mesi la nostra solidarietà alle popolazioni del sud-Israele e a quelle di Gaza, vittime di chi colpevolmente sceglie a Tel Aviv come a Gaza l’uso delle armi. Questa scintilla, accesa dai falchi israeliani e dagli estremisti palestinesi, ha innescato di nuovo un incendio, che sta mettendo a ferro e a fuoco la striscia di Gaza, e alcune sue fiamme lambiscono anche Israele. La comunità internazionale e soprattutto le potenze occidentali possono sopportare un altro massacro come ‘piombo fuso’ senza perdere autorevolezza, moralità, credibilità, non solo agli occhi delle comunità arabe, che vogliono praticare la via della democrazia, ma anche agli occhi dei suoi cittadini? ‘Piombo fuso’ e ‘pilastri della difesa’, nomi sinistri che tradiscono obiettivi feroci e determinati, espressione dell’asimmetria della potenza distruttiva, che criminalizza un intero popolo, cui vuole dare monito col terrore. Occorre fermare questo progetto, questa offensiva. Il suo cinismo, grazie al colpevole silenzio della comunità internazionale, sta oltrepassando ogni limite.

Vittima sacrificale l’intera popolazione di Gaza. Netanyahu ha colto l’occasione per spostare l’attenzione dell’elettorato israeliano dai problemi sociali alla sicurezza, per sabotare la richiesta all’Onu di riconoscimento della Palestina, per lanciare segnali minacciosi allo stesso Abu Mazen, ai Fratelli musulmani al potere in Egitto, all’Iran, suo vero obiettivo, per mettere in difficoltà lo stesso Obama. Oggi la situazione in Medioriente è diversa dai tempi di piombo fuso. Sono cambiati gli equilibri, altri protagonisti si sono affermati, la crisi siriana coinvolge l’intera regione.

Aggiungere tensione e fiamme a un equilibrio precario può far precipitare nel caos e nella violenza l’intero Medioriente.

L’escalation di violenza è coerente con le politiche di ‘non pace’ del governo israeliano che, come ha dichiarato la UE il 5 luglio scorso, non solo mettono in mora il processo di pace, ma rischiano di rendere impossibile la soluzione dei due stati per due popoli. La risoluzione UE cita l’insediamento di nuove illegali colonie, l’abbattimento di case palestinesi, l’isolamento di Gerusalemme est, la deportazione di popolazione, il blocco della striscia di Gaza. Nell’interesse dello stesso popolo israeliano, occorre fermare e isolare Netanyahu.

Il conflitto israelo-palestinese è asimmetrico. Bisogna prenderne coscienza. Non si confrontano alla pari due stati nella pienezza delle loro prerogative, due eserciti egualmente potenti, due popoli che esercitano gli stessi diritti. I palestinesi sono in campi profughi da 64 anni, vivono sotto occupazione da 45. Al tavolo delle trattative siedono soggetti molto diseguali nei rapporti di forza.

Per questo la pace, la sicurezza reciproca, i diritti dei due popoli sono nelle mani della comunità internazionale, che non può limitarsi a favorire il dialogo tra le parti. Deve imporre nella trattativa alcuni obiettivi, alcune condizioni, scritte nelle sue stesse risoluzioni e nei diritti umani. Cominci oggi coll’imporre la tregua, fermando il lancio di missili e il massacro di Gaza, impedendo che ci sia ancora una sola vittima. La trattativa si faccia dopo.

E questa nuova tragedia, queste nuove sofferenze inflitte alla popolazione civile siano l’inizio di un nuovo protagonismo internazionale per rimuovere le cause del conflitto, per prendere atto dell’asimmetria dei diritti, delle condizioni di vita, delle speranze di futuro, per far cessare l’occupazione israeliana.

C’è bisogno in quella contesa terra di un ‘bilateralismo asimmetrico’, per non lasciare i due popoli nelle mani di classi dirigenti inadeguate, per non affidare la sicurezza del popolo israeliano a politiche di oppressione e di guerra, per non rimandare l’esercitabilità dei diritti del popolo palestinese all’alibi di future trattative di pace, che ristagnano da 19 anni.