di Paolo Marcolini
Il quadro politico che le elezioni delineano, ci consegna un panorama di profonda ingovernabilità: non c’è una maggioranza solida che esce dalle urne, al momento non è dato sapere se ce ne sarà almeno una in Parlamento e non è da escludere, neppure, un ritorno al voto in tempi brevi. La coalizione guidata da Bersani ha la maggioranza sia alla Camera che al Senato, ma a Palazzo Madama, dove la ripartizione dei seggi è su base regionale, nessuna delle coalizioni potrà raggiungere e superare, da sola o aggregata, a meno di assemblamenti surreali, i 158 senatori necessari. Il bipolarismo è morto e il Paese è spaccato su tre fronti: le coalizioni del PDL, quella del PD e il Movimento 5 Stelle. Contro tutti i pronostici, il Movimento 5 Stelle è primo partito alla Camera, senza essere, nelle dichiarazioni del suo leader Grillo, un vero e proprio partito. Ma, nel quadro che viene definito dal risultato elettorale, assumerà una grossa responsabilità nei confronti del Paese e presto si comprenderà se gli eletti del Movimento 5 Stelle vorranno contribuire alla formazione di un Governo per ricostruire il Paese, o semplicemente fare ostruzionismo per tornare il prima possibile alle urne e raggiungere quel 51% richiamato da Grillo nelle Piazze. La vittoria del centro-sinistra non solo non c’è stata ma sia il PD che Sel risultano fortemente indeboliti e perdono consenso in Regioni importanti come Emilia Romagna, Toscana, Marche; molti elettori, tra cui tanti giovani, del partito di Bersani si sono spostati presumibilmente verso il Movimento 5 Stelle, altri si sono astenuti, anche per l’incapacità di definire i reali segni del cambiamento. Il conservatorismo del partito padronale di Berlusconi ha resistito, tiene in tante Regioni d’Italia, il distacco alla Camera è contenuto e per fermare il Cavaliere a nulla sono valsi gli scandali e le inchieste che, già a partire dalla prossima settimana, riprenderanno a riempire le cronache per le sentenze che giungeranno a pronunciamento. Il progetto di Ingroia, in chiara competizione con Sel, che però torna dopo 5 anni in Parlamento, non raggiunge il quorum così come non passa la soglia di sbarramento il partito di Oscar Giannino. La Lega dimezza il consenso e perde voti, probabilmente dell’imprenditoria locale, in regioni importanti quali Veneto e Piemonte a favore dei grillini.
Perde il partito di Mario Monti che fatica a raggiungere un risultato a due cifre e che di fatto non avrà la forza di contribuire alla formazione di un Governo dal momento che, poiché, nessuna coalizione avrà da sola la maggioranza, il Premier uscente non potrà portare in dote voti o seggi decisivi a nessuna forza in campo. Ha vinto ancora una volta il partito dell’astensionismo, per cui non ci è dato sapere cosa pensino oltre 15 milioni di italiani; ancora una volta vince il Porcellum, una legge elettorale che contribuisce a condannare questo paese nel momento più difficile della sua storia a un futuro molto incerto. Ha vinto il populismo di Grillo, a meno di prova contraria in sede parlamentare, e ha vinto il populismo di Berlusconi, contro l’Europa, i Magistrati e via dicendo.
Perde l’Europa e lo scenario in linea di massima è preoccupante. In Italia non solo non si è riusciti a girare pagina, così come era avvenuto nel maggio scorso in Francia con l’elezione di Hollande che ha chiuso con l’era Sarkozy, ma aumenta l’incertezza sul futuro. Le elezioni italiane potrebbero, per esempio, produrre effetti anche nelle prossime competizioni elettorali tedesche in autunno oltre a compromettere la tenuta dell’attuale impostazione europea, che di per sè non sarebbe un tabù, ma se rimaniamo alle dichiarazioni di Beppe Grillo che intende presentare un referendum sul mantenimento dell’Euro da un lato e a quelle di Berlusconi che più volte si è schierato contro la Comunità Europea dall’altro, capiamo che il rischio di una deriva anti europeista è decisamente alta.
Il Paese non potrà permetterselo. Nei prossimi giorni misureremo le risposte dei mercati internazionali anche se non v’è dubbio che verrà meno il tanto sperato segnale di stabilità all’estero, rendendo sempre più difficile mostrare un Paese attrattivo a finanziamenti ed affidabile per investimenti esterni, allontanando sempre di più il momento della ripresa. Ma chi ne farà le spese, in mancanza di un Governo stabile e solido, sarà, purtroppo, il popolo italiano.
Appare infatti complessa la possibilità di dare risposte chiare ai bisogni della popolazione, in questo momento di profonda crisi economica e sociale. Sarebbe stato il momento di pensare a come risolvere i problemi e invece c’è da augurarsi che questi ora non aumentino. Rimane una forte preoccupazione per lo stallo che si genererà e per la reale capacità di fornire efficaci risposte a temi centrali quali la disoccupazione, il sostegno alle imprese, il consolidamento dei diritti sociali e civili, il contrasto alla corruzione, la legge elettorale e via dicendo.
Francamente appaiono difficili da ipotizzare anche i prossimi passaggi istituzionali previsti a breve, a partire dal primo appuntamento degli eletti a metà marzo per l’indicazione e l’elezione dei Presidenti di Camera e Senato, ancor più complesso ipotizzare su quale candidatura si convergerà ad aprile per eleggere il prossimo Presidente della Repubblica. E ora spetta a Bersani, prima di recarsi da Napolitano, misurare la reale possibilità di formare un Governo, confrontandosi con le forze in campo partendo proprio dal Movimento di Beppe Grillo, cercando di trovare accordi su alcuni provvedimenti, sui quali costituire la prima piattaforma di confronto su temi comuni ai grillini: la trasparenza e la lotta alla corruzione, il contrasto alla disoccupazione, il taglio dei costi della politica, la riduzione del numero dei parlamentari, provando con una difficilissima alchimia a far fronte ad un ‘tilt elettorale’ senza precedenti.