No all’intervento militare in Siria

Diplomazia, cooperazione internazionale, tutela della popolazione per la soluzione del dramma siriano

di Carla Cocilova, responsabile internazionali Arci Toscana

La degenerazione del conflitto siriano e l’ipotesi interventista degli Stati Uniti ha riportato i riflettori sulla terribile situazione che la popolazione siriana sta vivendo ormai da tre anni. In un paese come il nostro, attanagliato dalla crisi economica e da una situazione politica instabile, quello che succede al di fuori dei confini nazionali non viene mai considerato prioritario, neppure se la tragedia si svolge vicino a noi.

La Siria è un paese che è stato in larga misura ignorato da coloro che non si occupavano di Medio Oriente, fuori dai circuiti turistici tradizionali come l’Egitto, per anni non coinvolta direttamente nei conflitti, ha invece da sempre giocato un ruolo fondamentale nel determinare gli equilibri nell’area. Proprio per questi motivi la complessità della crisi siriana, fin dal suo inizio, ha determinato che in Occidente non si riuscisse ad avere una lettura chiara di cosa stesse succedendo nel paese.

Già tre anni fa, dopo le prime manifestazioni di Daraa, in Siria si è giocata una guerra dalla grammatica

complessa, che ha visto l’intervento di più realtà, spesso sconosciute ai media o agli analisti più attenti.

Da un lato il governo di Bashar Assad e le forze militari a lui fedeli, una fitta rete di collaboratori che anche negli anni precedenti hanno determinato la stabilità interna del paese limitando la libertà di espressione e ricorrendo spesso ad arresti e torture nei confronti della popolazione, ma anche mantenendo un livello di indipendenza del paese dalle potenze occidentali e un certo livello di benessere per la popolazione.

Dall’altra parte i ribelli, definiti con questo termine in maniera riduttiva e semplicistica. I gruppi armati presenti sono infatti molteplici, ognuno afferente ad interessi e a basi esterne al paese. Alcuni esempi dei gruppi armati più significativi sono: l’Esercito Libero Siriano, la realtà più conosciuta all’estero perché composta dai disertori dell’esercito governativo e dai volontari, unica entità riconosciuta come reale opposizione dalle potenze occidentali, da cui hanno ricevuto armamenti.

Il fronte dei sostenitori per la liberazione della grande Siria (Jabhat al-Nusra), unico gruppo jihadista legittimato da Al-Qaida, il gruppo degli Ahrar ash-Sham composto da salafiti e presente soprattutto nel Nord del paese. Oltre a questi possiamo contare tra i sostenitori di Assad gli Shabbiha, un gruppo di mercenari alawuiti, il Jaysh al-Sha’bi, legati all’Iran e addestrati da Hezbollah e infine l’Unità Curda di protezione popolare, braccio armato del principale partito curdo siriano, che controlla l’area a maggioranza curda sotto il tacito consenso di Assad. In questo panorama complesso e articolato dove Arabia Saudita, Qatar, Turchia, Iran, Libano giocano un ruolo fondamentale nel fornire risorse e armamenti ai vari gruppi, identificare i buoni e i cattivi diventa un ennesimo gioco delle parti a cui a turno ognuno, secondo i propri interessi, si sottopone. Anche il movimento pacifista in Italia e a livello internazionale, è rimasto spiazzato di fronte alle criticità della situazione siriana e ha dimostrato la sua debolezza non trovando unitarietà di pensiero né di azione. In tutto questo la popolazione inerme e vittima di tante violenze è l’unica a pagare le conseguenze. Oltre 100.000 morti e 2 milioni di profughi: c’è un’emergenza umanitaria nell’intera area che non può più essere ignorata e questo come società civile dobbiamo gridarlo a gran voce. Ribadendo la nostra contrarietà ad interventi militari esterni, come già affermato in un comunicato dell’Arci, dobbiamo richiedere alla comunità internazionale tutti gli strumenti possibili per poter intervenire nei confronti della popolazione, in larga misura donne e bambini, che si trova nei paesi limitrofi o che prova a raggiungere le coste europee e italiane. Su questo, con tutto il rispetto per chi utilizzerà altri mezzi, non servono digiuni o preghiere particolari, serve un’azione di pressione politica europea e internazionale perché vengano garantite le risorse necessarie a fronteggiare l’emergenza. Un ultimo elemento, che come associazione non possiamo non denunciare, è la necessità della messa in sicurezza dell’enorme patrimonio archeologico, storico e architettonico che sta andando distrutto o razziato nel paese. Non sono state trasmesse immagini di forte impatto come quelle dei furti e della distruzione del museo archeologico di Baghdad, ma le condizione delle città, dei siti archeologici e dei beni culturali nel paese è drammatica. La Siria è la culla dell’umanità, un’umanità che l’ha per troppo tempo dimenticata e lasciata sola in un delirio di autodistruzione e indifferenza. Dobbiamo quindi farci promotori presso le reti nazionali e internazionali di una posizione che rompa definitivamente questo muro di indifferenza e che riaffermi come solo attraverso gli strumenti della diplomazia, della cooperazione internazionale e della tutela della popolazione si possa raggiungere una soluzione, che non potrà mai essere un ulteriore intervento ‘umanitario’ portatore di nuove morti e nuove distruzioni.

internazionali.toscana@arci.it