Un’analisi della nostra società che ci carica di responsabilità

L’indagine di Demos sul rapporto fra gli italiani e lo Stato, commentata da Ilvo Diamanti qualche giorno fa su Repubblica, specialmente se correlata con altre, ci offre uno spaccato sociale e politico del nostro paese su cui meditare e che riguarda direttamente il ruolo dell’associazionismo.

In sintesi, dall’indagine emerge un quadro di una società esposta, addirittura con consenso, ad avventure di tipo autoritario. Cosa peraltro non nuova nel nostro paese. Ce lo dice la crescita importante di consensi verso le forze dell’ordine, che balzano con il 70,1% dei gradimenti di gran lunga in testa alla classifica delle istituzioni che godono di maggior fiducia.

Un dato da leggere assieme al fatto che poco meno della metà degli intervistati ritiene che ci possa essere democrazia senza partiti e che tre intervistati su quattro si pronunciano per l’elezione diretta del capo dello Stato.

Effetto collaterale dell’interventismo di Napolitano? Forse.

Intanto è evidente il bisogno di sicurezza che emerge tra cittadini sempre più incerti sul proprio futuro, unito alla sfiducia nella democrazia rappresentativa.

Se però analizziamo più a fondo i risultati dell’indagine, si evidenzia un quadro meno pessimistico. La fiducia nella Chiesa cresce di dieci punti in un anno, mentre cala quella nello Stato. Questo risultato è dovuto a due fatti straordinari: le dimissioni di Benedetto XVI, con la conseguente umanizzazione della figura papale, e la popolarità della figura di papa Francesco, confermata per ora dai suoi primi significativi atti. Ne emerge un’immagine innovativa della Chiesa, basata sulla sua capacità e rapidità di cambiamento, contrapposta, a torto o a ragione, alla paralisi della politica e delle istituzioni laiche statuali e una sua nuova vicinanza con i problemi sociali e umani che la politica pare avere abbandonato.

E ancora. Secondo Demos l’alternativa fra migliorare i servizi per i cittadini e ridurre le tasse ha completamente cambiato di segno.

Nel 2005 il 54% degli intervistati sosteneva che era meglio potenziare i servizi, mentre il 46% puntava sulla riduzione delle tasse. Nel 2013, invece, il 70% vuole ridurre le tasse lasciando solo al 30% la preoccupazione di migliorare i servizi. Dunque i cittadini sono diventati più individualisti ed egoisti? Sarebbe una lettura parziale. Tra il 2005 ed oggi si è inserita la più grande crisi economica che il capitalismo europeo abbia conosciuto.

Da allora, a causa anche delle scelte sbagliate di politica economica attuate nella Ue e nel nostro paese, da un lato si è ridotta quantità e qualità dei servizi pubblici offerti e dall’altra è precipitato il reddito della stragrande maggioranza degli italiani. Avendo meno o affatto liquidità in tasca è del tutto comprensibile che gli intervistati si preoccupino in primo luogo di ridurre la pressione fiscale, più che migliorare la qualità dello stato sociale. Non si può pretendere dai comuni cittadini quella lungimiranza che è del tutto assente nelle classi dirigenti economiche e politiche.

Le ultime rilevazioni Istat ci parlano di una povertà in continuo aumento e di un crollo dello status sociale dei ceti medi, sulla parte onesta dei quali insiste una pressione fiscale ingigantita dalla contemporanea evasione dei meno onesti.

L’inflazione è indubbiamente molto bassa, tanto è vero che il rischio è la deflazione, eppure il nostro paese è quello che sta peggio nel rapporto fra costo della vita e reddito, a causa del livello molto basso delle retribuzioni e dell’alta quota di lavoro precario e sottopagato.

Un’indagine dell’Adoc relativa al 2012 ci dice che il rapporto fra l’impatto del costo della vita e il reddito è in Italia pari al’83,8%, molto superiore non solo a quello della Germania, della Gran Bretagna e della Francia, ma anche della Spagna, mentre la media europea è del 68%, ben quindici punti in meno dell’Italia. Insomma da noi si vive peggio.

Ma veniamo al punto più interessante: Diamanti ci ricorda che 6 italiani su 10 dichiarano di aver partecipato almeno una volta nel 2013 ad attività in associazioni o nel volontariato, poco più del 50% a manifestazioni o iniziative politiche e il 49% di essere stato coinvolto in nuove forme di partecipazione (dal boicottaggio di prodotti a gruppi di discussione sul web). Insomma emerge un quadro di un’Italia tutt’altro che rassegnata o cinicamente ripiegata su se stessa. Al contempo precipita la fiducia nei partiti e nel Parlamento, rispettivamente al 5,1% e al 7,1%. Si conferma quindi ciò che in fondo avevamo già visto o almeno intuito. Il successo senza precedenti dei referendum sull’acqua e sul nucleare contrapposto all’astensionismo crescente nelle elezioni di ogni ordine e grado dimostrava già un conflitto ormai radicato tra le forme della democrazia diretta, partecipativa e deliberante e quelle della democrazia rappresentativa.

L’associazionismo può fare molto per risolvere positivamente questo conflitto.

 

ArciReport, 9 gennaio 2014