Reato di clandestinità: un compromesso insoddisfacente

Tanto rumore per nulla. Viene alla mente il titolo della famosa opera shakespeariana volendo commentare l’esito del voto sul reato di clandestinità. Da una parte gli schiamazzi della Lega che urla contro l’invasione dei clandestini, dall’altra le dichiarazioni un po’ troppo enfatiche di quella parte della maggioranza che, votando l’emendamento del governo, parla di “risultato storico”.

La realtà è molto meno epica. Il reato di clandestinità viene sì abrogato, tornando ad essere un illecito amministrativo, ma conserva rilievo penale nel caso non si ottemperi a un provvedimento di allontanamento o nel caso di recidiva. Il che significa che se l’immigrato irregolare non lascia il paese o vi fa ritorno dopo l’espulsione, oppure non rispetta gli altri provvedimenti amministrativi emessi nei suoi confronti a seguito della condizione di irregolarità del soggiorno (per esempio presentarsi in questura per la firma) incorre in un reato penale. Si torna cioè a quanto già previsto dalla Turco-Napolitano prima e dalla legge Bossi-Fini poi.

Insomma una soluzione di compromesso, che non scontenta gli alleati di centrodestra e che certamente non può essere fatta passare per un grande avanzamento sul terreno dei diritti dei migranti. E d’altra parte lo scontento si è palesato anche fra gli stessi senatori del Pd che, come Manconi, non hanno votato a favore.

La sentenza della Corte di Giustizia del 2010 che vietava il carcere nel caso di non ottemperanza al provvedimento di allontanamento, la recente tragedia di Lampedusa, le sconvolgenti immagini delle condizioni di vita nei Cie e nei centri di accoglienza che hanno fatto il giro del mondo, hanno evidentemente costretto il governo a prendere un’iniziativa, ma francamente ci aspettavamo qualcosa meno di facciata e più di sostanza, come l’abrogazione pura e semplice dell’articolo 10 bis del TU sull’immigrazione, introdotto nell’estate del 2009 dal Ministro della ‘Paura’.

Il segno generale delle politiche sull’immigrazione non cambia con questo provvedimento, né per quel che riguarda il problema di fondo e cioè la possibilità di entrare regolarmente in Italia, né per quel che riguarda un sistema d’accoglienza che continua a essere gestito con criteri di perenne emergenza e senza nessuna pianificazione.