Garantire a tutti/e uguale libertà di spostarsi o di restare: la Carta di Lampedusa

di Giuliana Sanò, dirigente circolo Arci Thomas Sankara

«La Carta di Lampedusa è un patto che unisce tutte le realtà e le persone che la sottoscrivono nell’impegno di affermare, praticare e difendere i principi in essa contenuti, nei modi, nei linguaggi e con le azioni che ogni firmatario/a riterrà opportuno utilizzare e mettere in atto».

A giudicare da queste prime battute la Carta di Lampedusa sembra interpretare al meglio il senso e l’autentico valore di una pratica politica condivisa e dal basso. La scelta di utilizzare la forma di un patto, infatti, avvicina l’impegno di chi sottoscrive questo documento al gesto radicale di chi non si limita a denunciare le politiche criminali e a segnalare le anomalie giuridico-istituzionali che ruotano intorno alle libertà fondamentali delle persone, ma di chi fa appello, in prima istanza, agli sforzi e alle potenzialità inscritte in un percorso collettivo e di rete. La posta in gioco è quella di riuscire a tenere insieme l’universalità dei principi sanciti dalla Carta e la singolarità delle esperienze territoriali, consegnando, così, a tutti e tutte l’opportunità di riconoscersi nei principi stabiliti e di sperimentare pratiche di lotta diversificate.

La natura positiva e dal basso del documento politico che il 2 febbraio è stato ufficialmente approvato a Lampedusa tiene sullo sfondo le politiche di governo e il controllo dei movimenti delle persone, segnalando, a più riprese, l’urgenza di una radicale trasformazione di tutti i rapporti sociali, economici, politici, culturali e giuridici che caratterizzano l’attuale sistema e che sono a fondamento dell’ingiustizia globale subita da milioni di persone.

Perché le libertà e i diritti fondamentali di tutte e tutti possano concretizzarsi è necessario, infatti, denunciare i disegni di politiche migratorie che, senza tener conto delle esigenze e dei desideri delle persone che si muovono, ricalcano le distinzioni di classe e le disuguaglianze prodotte dal capitale globale; ed è per questa ragione che la Carta di Lampedusa afferma «che non può essere accettata nessuna divisione tra gli esseri umani tesa a stabilire, di volta in volta, chi, a seconda del suo luogo di nascita e/o della sua cittadinanza, della sua condizione economica, giuridica e sociale, nonché delle necessità dei territori di arrivo, sia libero di spostarsi in base ai propri desideri e bisogni, chi possa farlo soltanto in base a un’autorizzazione, e chi, infine, per poter compiere quello stesso percorso, debba accettare di subire pratiche di discriminazione, di sfruttamento e violenza anche sessuali, di disumanizzazione e mercificazione, di confinamento della propria libertà personale, e di rischiare di perdere la propria vita». All’attuale sistema economico vengono imputati anche i conflitti armati, le catastrofi climatiche e l’ingiustizia globale; eventi, questi, che congiuntamente alle scelte personali, sono causa di migrazioni forzate e impediscono, a chi lo vorrebbe, di restare e, dunque, la Carta di Lampedusa afferma «la libertà di restare come libertà di tutti/e di non essere costretti/e ad abbandonare il paese in cui si nasce o che si abita quando non si sceglie di farlo. La Carta di Lampedusa afferma altresì la libertà di lottare, promuovere, costruire tutte le iniziative necessarie a rimuovere ogni forma di sfruttamento, assoggettamento economico, politico, militare e culturale che impedisca l’esistenza autonoma, libera, indipendente e pacifica di tutte le persone che abitano il mondo». Varrebbe senz’altro la pena soffermarsi su ogni singolo passaggio della Carta di Lampedusa, ma abbiamo scelto di congedarci dai nostri lettori con un suggerimento: «La Carta di Lampedusa afferma la libertà e il dovere di disobbedire a ordini ingiusti».