Aule vuote, piazze piene

Di Massimo Cortesi, coordinatore sistema educativo,infanzia ed adolescenza.

Lo sciopero della scuola dello scorso 5 maggio è stato un grande successo.   Secondo gli organizzatori, più di 500mila persone sono scese in piazza per dire No alla Buona Scuola di Renzi, da Aosta a Catania, passando per Roma, Milano, Bari, Cagliari e Palermo, le città  delle manifestazioni principali, ma sit-in e cortei si sono tenuti a decine in ogni parte d’Italia. Una partecipazione quale non si vedeva da anni,  una protesta generale dei tanti che fanno la scuola: studenti, docenti, personale ATA, precari e di ruolo, genitori, cittadini, associazioni.  La riforma del Governo è riuscita a mettere insieme tutti, per una volta senza distinzioni né tra le varie sigle sindacali, né tra docenti, lavoratori e ragazzi.

Per un giorno si sono lasciate le scuole vuote per avere una scuola giusta per tutto il resto dell’anno.

Ma lo sciopero generale è andato bene anche perché ha aperto qualche crepa nel muro blindato che aveva costruito il governo.

Il giorno dopo, il Presidente del Consiglio si è visto costretto a richiamare parlamentari del Pd e il ministro Giannini per capire!  Forse gli hanno dato fastidio anche le parole – per una volta condivisibili – del ministro dell’Interno Alfano riportate da La Repubblica: «Sulla scuola oggi ci sono proteste della sinistra perché si fanno cose di centrodestra – ha detto  aprendo la direzione di Area Popolare – e lo stesso vale per il Jobs Act e per la responsabilità civile dei magistrati».

O più semplicemente il Governo si è trovato di fronte una protesta di proporzioni inaspettate, visto che le contestazioni dei giorni precedenti  erano state derubricate a protesta di pochi di fronte all’ignavia di tanti.  Ma i dati veri certificano un’altra realtà: l’80% di adesione del personale della scuola; l’adesione massiccia e programmatica degli studenti, il sostegno impensabile, dal punto di vista numerico, dei genitori e della società civile. Una protesta ricca di contenuti che non si può oscurare con due tweet e qualche slogan.

Ora l’azione deve continuare perché la crepa diventi un varco e davvero si arrivi a realizzare la scuola di tutti e tutte, e che sia una scuola buona.

Non basteranno piccoli ritocchi estetici, e nemmeno il ricatto dello  scambio fra i 100mila assunti  in cambio di innovazioni che tali non sono e che rischiano di produrre le ‘buone scuole’ per alcuni e le ‘cattive scuole’ per tanti altri: il preside manager che potrà premiare a sua assoluta discrezione, e non sulla base di criteri certi, alcuni docenti e non altri; la non volontà del Governo di trovare risorse aggiuntive per finanziare l’istruzione pubblica certificando così la non volontà di agire per garantire quella che negli altri Paesi è considerata la leva principale per la crescita (mentre nel contempo si aumentano le possibilità di finanziamento per le scuole paritarie); un forte appiattimento della scuola sulle esigenze degli imprenditori  privati,  con una crescita smisurata delle ore per l’alternanza scuola lavoro, senza prevedere un salto qualitativo di questo percorso. Tante e diverse proposte un Buon Governo avrebbe potuto invece far sue, trovandole già scritte nella Lip (legge d’iniziativa popolare), un lavoro di tanti che avrebbe potuto essere il cuore di una riforma davvero efficace e per tutti, una riforma capace di disegnare il futuro e non da rimettere in discussione con l’avvento del prossimo Ministro all’Istruzione.

Dunque non fermiamoci, continuiamo la nostra battaglia, con la certezza di avere un  progetto migliore da offrire.

ArciReport numero 17, 7 maggio 2015