La libertà di stampa è solo un lusso?

Di Luca Landò, ex direttore de L’Unità.

Stipendi pignorati, case all’asta e un conto di 600mila euro che sicuramente salirà. Perché il tassametro, mentre scriviamo, continua a girare. Giorno dopo giorno. Causa dopo causa. È il film dell’orrore che da quasi un anno si proietta tutte le sere nelle case dei giornalisti dell’Unità che, oltre al danno di aver perso il giornale che amavano e il lavoro con cui mangiavano, si trovano adesso con l’obbligo di pagare, di tasca propria, quello che gli editori non intendono pagare. È quello che è già successo a Concita De Gregorio e a 25 giornalisti coinvolti in cause per diffamazione negli anni in cui era lei a dirigere il giornale ed è quello che potrebbe presto accadere a Claudio Sardo e a chi sta scrivendo queste righe, quando le cause accumulate durante le loro direzioni andranno a sentenza. Perché la legge parla chiaro: se il giudice stabilisce che un articolo ha provocato un danno, quel danno va pagato dall’editore, dal direttore e da chi ha scritto l’articolo. Di solito all’editore spetta l’80% della sanzione, mentre a direttore e giornalista toccano il 10% a testa. Consuetudine vuole, o almeno voleva, che alla fine fosse l’editore a farsi carico dell’intera somma, riconoscendo che il lavoro del giornalista è sempre a rischio causa e che senza giornalisti non ci sarebbero giornali e tanto meno editori.

Quello che la legge non dice è cosa succede quando i giornali vanno in liquidazione o falliscono. O meglio lo dice, perché di fatto qualcuno deve pagare e se uno dei tre attori scompare dalla scena, tocca agli altri due farsi carico dell’intero copione. Questo è quello che sta accadendo all’Unità, dove la messa in liquidazione della società editrice, la Nie, sta scaricando sulle spalle dei direttori e dei giornalisti il costo della misteriosa scomparsa dell’editore. Già, per quanto riguarda le diffamazioni, l’editore di un giornale fallito o in liquidazione è un fantasma che non c’è, scompare dai radar e tanti saluti.

La legge sulla diffamazione è del 1948, quando i mulini erano bianchi, i giornali di piombo e Steve Jobs, figuriamoci internet, non era ancora nato. Non ci voleva molto a capire che si tratta di una norma antiquata e superata. C’è voluta invece l’assurda situazione dei giornalisti dell’Unità per comprendere che davvero è arrivato il momento di porre rimedio a una situazione insostenibile. Ad esempio, riconoscendo che gli editori devono farsi sempre carico delle pendenze legate ai loro giornali, anche quando questi entrano nei processi di liquidazione o fallimento. Ad esempio creando un fondo con il contributo di tutti gli editori coinvolti e a sostegno dei giornalisti che nel frattempo devono farsi carico per intero delle somme richieste.

La verità è che la crisi economica in generale, e quella dell’editoria in particolare, stanno portando a galla tutte le debolezze del nostro sistema informativo. Quello che è accaduto all’Unità non è che il trailer di un film dell’orrore che potrebbe presto essere proiettato in altre sale e in altre redazioni, con conseguenze devastanti per la tanto citata (ma non sempre attuata) libertà di informazione. Quanti sono i giornalisti che, dopo il caso Unità, si sentiranno liberi di raccontare, criticare, denunciare? Lo potranno fare tutti, o solo quelli che sanno di avere alle spalle un editore forte? La libertà di stampa è un diritto universale o un lusso riservato a giornali senza problemi economici?

ArciReport, 7 maggio 2015