Dopo l’Irlanda, anche in Italia il matrimonio egualitario

Di Francesca Chiavacci, Presidente Nazionale Arci.

Domenica scorsa è stato chiesto agli irlandesi tramite referendum se vogliono adottare nella Costituzione il seguente nuovo testo: «Il matrimonio può essere contratto, in accordo con la legge, tra due persone senza distinzione di sesso». Il 62,% dei votanti ha espresso il suo parere favorevole. Con questo voto la cattolica Irlanda è diventata il primo paese al mondo a raggiungere il traguardo del matrimonio egualitario tramite referendum. Si è obiettato, giustamente, che diritti umani e individuali non devono essere sottoposti a voto (cosa sarebbe successo se avesse prevalso una maggioranza meno tollerante?) e che ancora tante ombre oscurantiste (la legge sull’aborto, ad esempio) sono nella legislazione di quel paese. A noi però interessa mettere l’accento sull’effetto, ancor più grave, che la realtà irlandese ha ottenuto nel farci vedere ciò che accade nel nostro Paese. Sono due gli ultimi paesi occidentali che non contemplano ancora nessun riconoscimento delle coppie dello stesso sesso: la Grecia e l’Italia. Il ministro della giustizia greco ha annunciato di voler estendere alle coppie omosessuali l’istituto delle coppie di fatto già in vigore per i conviventi etero. Il nostro governo sembra, negli annunci, come spesso accade, avere programmi più ambiziosi, con un progetto di legge sulle unioni civili che porterebbe l’Italia allo stesso livello di paesi come la Germania o la Svizzera. Per ora, però, il cosiddetto disegno di legge Cirinnà (la senatrice che ne è relatrice) è in discussione, ma sono stati presentati quattromila emendamenti da esponenti dell’area cattolica e conservatrice. Da diversi mesi la nostra associazione lavora all’interno di una larghissima coalizione di associazioni e movimenti «per il matrimonio egualitario», uno dei tanti, non l’unico, dei temi che il movimento per i diritti civili in Italia e la comunità LGBTI portano avanti, con tenacia e costanza, interloquendo con i cittadini e le istituzioni locali e nazionali attraverso centinaia di presidi, manifestazioni ‘simboliche’, flash mob. Si tratta di una delle tante situazioni in cui si verifica con mano quanto il Paese reale, nei suoi comportamenti , sia molto più avanti delle leggi che intenderebbero regolarli. E sono tanti i provvedimenti che mancano al nostro paese necessari per cambiare la nostra cultura in merito, la modifica della legge Mancino, che includa esplicitamente nei crimini previsti la violenza e l’incitamento all’odio connessi all’orientamento sessuale e all’identità di genere, l’introduzione di nuovi programmi educativi per il personale della pubblica amministrazione, con l’obiettivo di garantire competenze sufficienti per lavorare nel pieno rispetto dell’orientamento sessuale, l’adozione di misure volte esplicitamente a combattere l’omofobia e la transfobia nelle scuole di tutto il paese. Si tratta di battaglie culturali, si tratta anche di dare visibilità e forza a tanti cittadini e cittadine che pagano quotidianamente una cultura omofoba e discriminatrice. Il mese di giugno è tradizionalmente dedicato al momento del Pride, del tributo alle persone (in buona parte transessuali, transgender, drag queen e travestiti) che, durante i moti di Stonewall del 1969, per prime alzarono la testa contro l’oppressione e la discriminazione nei confronti delle comunità LGBTI. L’Arci sarà quest’anno, nei Pride, come sempre, con una motivazione politica in più, la battaglia per il matrimonio egualitario.