Sfidare l’esistente è possibile, le elezioni in Spagna lo dimostrano

Di Raffaella Bollini, relazioni Internazionali Arci.

Che l’austerità avrebbe devastato, oltre che i diritti e la democrazia, anche la tenuta della stessa Unione Europea, lo dicono da sempre autorevoli economisti ed esperti. Era prevedibile che l’abbandono del progetto sociale europeo e l’imposizione forzosa del neoliberismo rigoroso avrebbe prodotto destabilizzazione. Così è accaduto del resto in tutti i continenti dove la cura neoliberista è stata somministrata a dosi massicce. L’esito della crisi di un sistema non è scritto. Anche la fine che farà l’Unione Europea dipende da quello che nei paesi europei si sta muovendo, dai rapporti di forza che si vanno costruendo, da quale cultura riuscirà ad affermare egemonia. Le strade sono aperte, tutte. Le elezioni amministrative in Spagna segnano l’avanzata di formazioni antiliberiste sociali e popolari. Nelle stesso giorno, le elezioni politiche in Polonia consegnano il paese a una destra reazionaria che ha per modello il fascista ungherese Orban. Dal giorno della vittoria di Syriza tutta l’attenzione sulla tenuta dell’Euro e dell’UE si è concentrata sul rischio del ‘Grexit’. Ma il vero pericolo di rottura dell’Unione arriva invece dalle elezioni nel Regno Unito dove il conservatore Cameron, un minuto dopo la vittoria, annuncia per il 2017 il referendum sulla permanenza nella Unione Europea. A inizio 2016 voterà anche l’ Irlanda. E dopo la straordinaria vittoria del sì nel referendum sui matrimoni di persone dello stesso sesso, trovano conferma i sondaggi che guardano al Sinn Fein – un partito che al tempo della crisi ha recuperato in pieno il suo dna di sinistra sociale e popolare. Pare sia finito il tempo in cui la favola dell’austerità e del pareggio di bilancio come medicine necessarie riusciva a contenere la rivolta e il disgusto popolare per la politica mainstream che le imponeva ovunque in Europa. Pare non funzioni bene neppure il tentativo di addolcire la pillola, il nuovo mantra della Commissione che prova a legare austerità e crescita, due cose che insieme non stanno – a parte quel 10% di popolazione che con l’austerità si arricchisce a scapito di tutti gli altri. Comincia a mostrare la corda anche la mistificazione lessicale che maschera con il positivo nome di ‘riforme’ la distruzione dei diritti sociali, del lavoro e dei beni comuni. Le riforme greche restituiscono al popolo reddito e lavoro: comincia a chiarirsi che non conta il nome, conta il contenuto. L’Europa ferma non starà. Andrà a destra, o andrà a sinistra. La leadership europea prova a chiudersi a riccio: a giugno, nel dibattito sulla riforma della governance, proporrà una Europa a due livelli, con la zona euro più integrata a totale egemonia tedesca e tutto il resto abbandonato a essere sempre più periferia. L’altra ricetta è una Europa unita nella giustizia sociale, e solidale. Ma bisogna farla vincere, ricostruendo connessione fra politica e persone, e riportando anche a votare i tantissimi che sempre più rimangono a casa. Grecia, Irlanda e Spagna – a guardare bene gli elementi unitari di esperienze diverse – paiono dire che questa idea di Europa vince quando crea ‘unità popolare’, coalizioni di movimenti politici e sociali chiaramente anti-liberisti che sfidano l’esistente. In Spagna, sono le coalizioni che hanno vinto le città. Quando si è presentato da solo, neppure Podemos ce l’ha fatta. Ogni paese ha la sua strada. Ma siamo davvero a un bivio, in Europa. E dovunque siamo tutto si può fare, meno che stare alla finestra a guardare.