I fiori del male del(la) capitale

Di Simona Sinopoli, Presidente Arci Roma e Andrea Masaia, segretaria Arci Roma responsabile rapporti istituzionali.

Leggendo alcuni sonetti del Belli si ha l’impressione che parli di oggi: da sempre nella capitale sbocciano i fiori del male, ma sbaglieremmo a cadere nel qualunquismo del «è stato sempre così e sempre lo sarà». Ogni mala amministrazione ha la sua storia. E quella di Mafia Capitale ha alcune caratteristiche che è opportuno analizzare per trovare le giuste risposte strategiche. Una delle intercettazioni dipinge un punto centrale del problema: parlando della gestione di alcuni appalti, uno dei protagonisti del sistema corruttivo afferma che durante la sindacatura di Alemanno c’era un accordo per cui su sette lotti, sei andassero alla maggioranza e uno all’opposizione, mentre secondo un nuovo accordo ora ne spetterebbero cinque alla maggioranza e due all’opposizione. Questa subcultura politico-amministrativa è una delle basi su cui si costruisce il fenomeno-sistema che chiamiamo Mafia Capitale. Appalti non gestiti secondi criteri di efficienza nell’interesse dei cittadini, ma regolati con criteri di lottizzazione partitocratrica. Questa subcultura si salda in simbiosi con l’utilizzo da S.p.A. delle preferenze elettorali dei consiglieri: non sono più i partiti ad entrare nel merito delle politiche pubbliche, ma i singoli personaggi, in molti casi ognuno col suo comitato elettorale preoccupato solo dei finanziamenti delle campagne elettorali personali e di estendere il proprio potere gestionale/clientelare attraverso la nomina di persone di fiducia nei centri amministrativi e nelle partecipate. Con uno slogan potremmo chiamarla ‘partitocrazia senza partiti’. Un secondo male, e la seconda simbiosi, è proprio nella macchina amministrativa: a parte i casi di corruzione, concussione e infedeltà di dirigenti, funzionari e impiegati, è proprio il meccanismo stesso a prestarsi ad infiltrazioni criminali. Parliamo infatti di una macchina farraginosa, con migliaia di leggi contraddittorie, con decine di livelli decisionali che non si parlano tra loro, con concorrenza di competenze e responsabilità con criteri non unificati e spesso neanche compatibili. Siamo in presenza cioè della completa assenza di una certezza del diritto del cittadino. Con questa macchina amministrativa è evidente che gli onesti rimangono stritolati nelle maglie burocratiche mentre i corruttori possono agire come vogliono. E come è oscuro il meccanismo di ‘accesso’, altrettanto oscure sono le possibilità di controllo dei cittadini. A peggiorare il quadro c’è l’aggravante di un consenso popolare sommerso, coperto da un’indignazione morale indirizzata contro la sola politica. Dietro l’urlo «vergogna» vige cioè un consenso sociale nei confronti dell’illegalità. Parcheggiare in doppia fila, fare piccoli abusi edilizi, evadere le tasse, sono considerati gesti quotidiani di sopravvivenza, quasi un diritto. Piccoli abusi che portano a giustificare i grandi abusi fatti da «chi se lo può permettere». È un atteggiamento che va analizzato sullo sfondo di quella mancanza della certezza del diritto del cittadino di cui dicevamo, e va combattuto con una grande operazione di egemonia culturale sul tema della legalità e dei diritti e con riforme amministrative di semplificazione normativa e trasparenza, di responsabilizzazione individuale e di rivoluzione culturale nella Pubblica Amministrazione. Una parte dei partiti e degli amministratori della sinistra sta tentando di fare pulizia, la magistratura sta andando avanti, questo doppio passo va sostenuto ma va anche affiancato da operazioni di animazione culturale per la legalità e i diritti e di rivoluzione culturale per tutti gli operatori pubblici.