Come è possibile contrastare il lavoro minorile in Italia?

Di Massimo Cortesi, coordinatore Sistema educativo, infanzia ed adolescenza.

Purtroppo i dati che ci vengono somministrati, di anno in anno, sul lavoro minorile non ci sorprendono più e rischiano di essere l’ennesima sfilza di numeri anonimi all’interno dell’ennesimo report. Eppure sono numeri pesanti: 168 milioni di bambine e bambini, ragazze e ragazzi costretti a lavorare, di cui 98 milioni nel mondo dell’agricoltura e 85 milioni in lavori altamente rischiosi. E sono numeri pesanti anche per il nostro Paese visto, che riguardano ben 340mila minori sotto i 16 anni, il 7% della popolazione italiana tra i 7 e i 15 anni. I numeri sono importanti e vanno approfonditi, ma io vorrei soffermarmi su altri aspetti, entrare di più nella vita dei bambini e degli adolescenti, o meglio, in quella parte di vita che rischia di essere loro rubata per sempre con pesanti ricadute sul futuro. E parto da un tema che da tempo noi (come tanti altri) denunciamo e su cui cerchiamo di agire: l’abbandono scolastico. I dati della ricerca certificano di fatto che il maggior tasso di lavoro minorile si trova nella fascia di età che segna il passaggio tra scuola primaria di secondo grado e quella superiore; in quel ‘terreno’ dove la nostra dispersione scolastica è tra le più alte d’Europa (oltre il 18%). Il primo campo su cui intervenire non può essere che questo, mettendo in atto una task force che veda la presenza di tutta la comunità. Non possiamo infatti pensare sia solo l’Istituzione Scuola che possa affrontare questo tema, o che ci siano casi isolati e virtuosi dove Scuola, genitori, istituzioni locali agiscano di concerto; deve esserci un piano nazionale che veda l’impegno di tutti, comprese le realtà del mondo del lavoro (datoriali e sindacali) per favorire innanzitutto la continuità del percorso di studio e poi per realizzare percorsi sicuri di formazione e inserimento lavorativo. Lavorare su questo obiettivo con ‘visione nazionale’ permetterebbe di affrontare sia altre problematiche del lavoro minorile, sia di ridurre sensibilmente l’impatto sociale che il lavoro minorile comporta. Se leggete il rapporto, se confrontate gli studi anche di altri Paesi sull’impatto sociale troverete una grande convergenza su alcuni punti di ricaduta negativa che il lavoro minorile comporta: maggiore difficoltà ad accedere da adulti ad un lavoro dignitoso e di qualità, marginalizzazione sociale con conseguente maggior rischio di entrare nel circuito dell’illegalità minorile, aumento dei problemi legati allo stato di salute, perdita definitiva di un periodo importante della propria crescita naturale e dei propri diritti al gioco, allo studio al riposo. Le altre problematiche che si possono affrontare al meglio con un piano nazionale e condiviso sono: – il rapporto con le famiglie. Avere un monitoraggio che ci faccia conoscere chi abbandona gli studi, i motivi e le cause, la famiglia può facilitare un intervento di riduzione del lavoro minorile costruendo azioni mirate e non solo generalizzate; – la costruzione di una comunità educante. Coinvolgere la comunità nel suo complesso (cittadini, associazioni, istituzioni) può facilitare percorsi di mutuo aiuto nel caso di lavoro minorile dovuto a necessità economiche, costruzione di percorsi di crescita dell’autostima e sostegno nel caso di difficoltà di apprendimento, riduzione della marginalizzazione e di fenomeni legati anche a microcriminalità; – costruzione di un rapporto etico e di qualità con il mondo del lavoro. Il mondo delle aziende deve essere coinvolto non solo come luogo di accesso appunto al lavoro e ad un reddito, ma anche come soggetto facente parte di una comunità e alle ricadute che il suo agire può avere su una comunità. Questi sono alcuni passi nodali e la nostra associazione può svolgere un ruolo importante vista anche la sua presenza nei territori e nelle comunità. Una sfida su cui vale la pena spendersi.