Più consapevolezza e denuncia in caso di maltrattamento, ma la strada è ancora lunga

Di Ornella Pucci, coordinatrice politiche di genere.

A causa dei risultati elettorali e delle grida all’emergenza immigrati, rischia di passare in secondo piano, o peggio inosservata la presentazione fatta il 5 giugno della ricerca statistica Istat su La violenza contro le donne dentro e fuori la famiglia commissionata dal Dipartimento delle Pari Opportunità. I dati presentati prendono in considerazione gli ultimi cinque anni sino al 2014. Purtroppo confermano che una donna su tre tra i 16 e i 70 anni ha subito nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale, in Italia ma anche all’estero, e non c’è molta differenza se la donna è italiana o migrante, comunque il 31% la subisce, ovvero quasi 7 milioni di donne (esattamente 6milioni 788mila). Malgrado le paure alimentate dai razzisti di turno, la violenza più grave ti aspetta dentro casa, infatti viene inflitta alle donne proprio dai partner, dagli ex, dai parenti e/o amici di famiglia per oltre il 62%. Il dato più importante rileva una maggiore consapevolezza delle donne nel riconoscere e reagire alla condizione di maltrattamento che stanno vivendo (lo considera reato il 29,6% oggi, 14,3% nel 2006). Vi è un aumento delle denunce (11,8% oggi, 6,7% ieri). C’è meno vergogna a parlarne con qualcuno e si cerca, di più rispetto al passato, aiuto in servizi pubblici e specializzati come i centri antiviolenza, ciò grazie al continuo lavoro di informazione e sensibilizzazione fatto dalle organizzazioni di donne e Ong a sostegno dei diritti umani, sul territorio e nell’opinione pubblica. Interessante rilevare che la violenza tra le giovani donne è in diminuzione, ovvero le giovani sono maggiormente capaci di reagire e fermare la violenza prima che degeneri. Ci piacerebbe pensare che le nuove generazioni (donne e uomini) stiano cambiando e che il modello di relazione tra loro si stia bilanciando anche nella gestione dei conflitti, che il metodo non violento si stia sostituendo a quello patriarcale. Per analizzare questa ipotesi, forse un po’ troppo ottimista, bisognerebbe incrociarla con la rilevazione dell’Istat sugli stereotipi. Altro aspetto importante è la violenza vissuta direttamente dai figli delle donne che subiscono maltrattamenti in casa (65,2% oggi, 60,3% ieri). Un bambino o bambina che vive oggi situazioni di violenza in casa domani sarà molto più probabilmente capace di trasmettere e replicare nella sua vita quotidiana a scuola, nelle amicizie, a lavoro, in una relazione affettiva tali comportamenti, sia come vittima che come carnefice. Quindi interrompere questo ciclo di violenza oggi è fondamentale per non trasferirla nel futuro. Il Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere del governo, sul quale è iniziato un confronto con gli operatori e le associazioni che sul territorio da anni sono impegnati su questo fronte, è totalmente inadeguato e c’è da augurarsi che venga integrato e rafforzato. Lo hanno sottolineato tutte le associazioni attive sul tema, ora la differenza la devono fare le politiche del governo, delle regioni, delle aree metropolitane e dei comuni perché loro è la responsabilità di garantire i diritti a tutte e tutti, come richiesto dalla Convenzione di Istanul.