A fianco del popolo greco. Contro l’austerità. Per la democrazia

Di Francesca Chiavacci, Presidente nazionale Arci.

La nostra battaglia è per la trasformazione dello spazio comune europeo in un luogo dove democrazia e solidarietà prevalgano sulle volontà del mercato, della tecnocrazia e sulle politiche di austerity che hanno approfondito le disuguaglianze nel Vecchio Continente. Noi pensiamo che l’Unione Europea sia da troppo tempo, come la nostra Presidente onoraria Luciana Castellina ha scritto su il manifesto, un «pezzo di mercato», incapace di vedersi come «una scelta, un modello di produzione e di consumo diversi, una rivisitazione positiva di una comune tradizione». Per questo, la vicenda greca è una questione democratica e ci sbatte in faccia per l’ennesima volta quanto siano fondate le ragioni dell’urgenza del ritorno al primato di una politica non subalterna. In questo contesto, l’indizione del referendum voluta dal governo greco sembra aver raggiunto, nella drammaticità della scelta e delle conseguenze, un primo risultato, ovvero quello di mettere in risalto uno dei punti più deboli, se non ‘il’ punto debole, di una gestione del governo dell’UE eccessivamente e ostinatamente parziale, bloccata su un unico modo di vedere l’economia e le relazioni con la finanza. Quella decisione, anche se può apparire come un atto di deresponsabilizzazione da parte di chi invece ha il compito di assumersi l’onere delle scelte, ha rotto almeno l’ampolla di vetro che per decenni ha reso le scelte compiute dalle istituzioni europee intoccabili, come se fossero terze per definizione e dunque non assoggettabili a discussioni. Ha svelato il pesante tentativo di ingerenza negli affari interni della Grecia, e cioè quello di cercare interlocutori nuovi attraverso un cambio della compagine del governo di Atene. La rappresentazione più autentica di questa rottura è stato il momento in cui Juncker ha invitato i cittadini ellenici a votare ‘si’ nel referendum di domenica: per la prima volta, un capo della Commissione UE si rivolge direttamente e in modo plateale ai cittadini di un Stato membro. Anche il tentativo di trasformare la consultazione referendaria in una scelta tra permanenza nell’Unione o Grexit, e, peggio, tra euro e dracma, rende manifesta la crisi di nervi che il referendum ha scatenato tra i vertici dell’eurogruppo. Di sicuro porre un aut-aut è un’arma mediaticamente potente per influenzare la scelta nelle urne, ma in questo caso può rivelarsi un boomerang. I falchi dell’austerity potranno anche desiderare di liberarsi di un’economia debole, per giunta guidata da un governo non amico, ma, citando la stessa Merkel, «se fallisce l’euro, fallisce l’Europa». E, quindi, a chi giova abbandonare la Grecia? Tra le tante analisi pubblicate in questi giorni, Nadia Urbinati scrive: «Il referendum greco ha posto un problema all’Europa, un problema che deve essere risolto in e con l’Europa: quello di un modo diverso di affrontare le politiche del debito, cioé con politiche di risanamento e di crescita, non di punizione. Così è stato in Europa dopo la distruzione lasciata dalla guerra, così dovrebbe essere oggi dopo la distruzione lasciata da questa crisi economica». Ecco, ribadendo che il sogno di una vera Europa unita è anche il nostro e che non è pensabile che qualcuno, da qualsiasi parte provenga, si auguri che la Grecia esca dall’Unione Europea, il ricorso, in questo tragico confronto, a uno strumento democratico non deve essere visto come un redde rationem di matrice populista. Lo dobbiamo alla verità, ai cittadini ellenici piegati dalla crisi e dall’austerity, lo dobbiamo a noi stessi. Lo dobbiamo anche al tentativo di dare più forza a tutti i filoni di pensiero democratico e progressista, perchè si avvii una riflessione nuova, capace di alzare la voce e proporre un’alternativa concreta al dogma dell’austerità.