I tanti e importanti significati del No greco

Di Luca Castellina, presidente onorario Arci.

La vittoria del no in Grecia ha molti significati. È il risultato di un’ altra, storica lezione di democrazia che ci viene dalla Grecia di Pericle e, in un quadro europeo in cui i cittadini sembrano sempre meno chiamati a decidere sulle scelte politiche del proprio paese – al di là di un sì o un no’ a decisioni già prese – questo è già un fatto di grande importanza. L’ampiezza del no, al di là di ogni previsione, ci dice che la rivolta contro un’Europa meschina, autoritaria, solo contabile e incapace di esprimere una politica che guardi al di là della povera miopia del mercato, ha conquistato strati dell’opinione pubblica assai più vasti di quelli della sinistra. A piazza Syntagma, la notte del 5 luglio, questo dato era visibile. Non perchè, come hanno stupidamente scritto alcuni giornali italiani, alla sinistra si era unita la destra nazionalista, ma perchè quel voto è stato la reazione generalizzata ad una insopportabile arroganza. Il no di Atene è importante proprio perchè è un no europeista: non un no all’Europa, ma un no a questa politica europea, pronunciato finalmente senza esser paralizzati, come sempre è stato, dal ricatto: chi critica l’Europa è contro l’Europa. Questo risultato è importante per tutti noi, perchè dà il via ad una possibile controffensiva che unisce l’Europa, perchè oramai in ognuno dei suoi paesi membri ci sono movimenti e/o partiti che hanno cominciato ad opporsi alla cecità di Bruxelles. Per tornare a porre la politica al posto di comando, e cioè la razionale volontà degli esseri umani che, rispetto ai meccanismi di mercato, hanno la capacità di guardare più lontano e sopratutto di non far prevaler il meschino obiettivo del profitto individuale, ma l’interesse della collettività, almeno di quella grande maggioranza della collettività che di profitto non ne ha. E infine: credo sia assai utile alla sinistra italiana la lezione che Tsipras ci ha dato: grande fermezza, coraggio e capacità di rischiare (e cioè non grigio opportunistico moderatismo) e però insieme grande accortezza tattica, consapevolezza della necessità, direi togliattiana, di tessere alleanze, di non restare isolati, per provare a modificare i rapporti di forza. L’aver coinvolto, adesso che ha acquisito la forza per avere una posizione egemone, gli altri partititi greci, è stata, ripeto, una bella lezione contro tutti gli inermi settarismi e ideologismi ancora così in voga. Per l’Arci c’è, credo, una specifica lezione da apprendere: la vittoria di Syriza non è dovuta soltanto al fatto che in Grecia la sinistra è stata capace di unirsi e qui no (i greci non sono meno litigiosi di noi). È dovuta al grande lavoro comune che è stato sviluppato sul territorio per costruire una rete di organismi di supplenza ad uno stato non più in grado di farsi carico dei bisogni, anche primari, della comunità: ospedali, centri di assistenza sanitaria, mense, asili fondati sul lavoro volontario. Non si tratta di tradizionale opera di beneficenza. È qualcosa di più: è assunzione da parte della società della gestione di funzioni statali e può costituire un bel modello politico: finalmente i cittadini si riappropriano di funzioni prima affidate a una burocrazia separata, costruiscono – e non si limitano a rivendicarlo – il bene comune. È molto di più di un movimento di protesta, e molto di più, anche, dell’espressione spontanea ma confusa, della società civile. È costruzione di una democrazia organizzata, che intreccia momenti di azione diretta con il sistema rappresentativo. In Grecia tutto si svolge – e si svolgerà ancora per molto – in un contesto drammatico. In Italia possiamo provare a sperimentarlo in condizioni assai più facili. L’Arci, per la sua storia e la sua pratica, ha in questo senso un ruolo importantissimo.