L’esperienza del comitato territoriale di Lecce

Di Anna Caputo, presidente Arci Lecce.

È estremamente complesso oggi gestire i progetti del Sistema di protezione per i richiedenti asilo. Noi di Arci Lecce che lo facciamo dal 2003 abbiamo potuto verificare in tempo reale il cambiamento di atteggiamento nei confronti di quanti arrivano sul territorio italiano, dapprima diffidente, poi curioso, poi inclusivo in un crescendo di buone relazioni intessute grazie all’opera di tanti operatori Arci che sono riusciti a creare i presupposti per una reale interazione sociale e culturale. Ma l’avvento dei grandi movimenti populisti di massa ha messo a dura prova il lavoro certosino di costruzione della rete della solidarietà costruito negli anni, le notizie esplodono in pochi secondi e trasportano il pensiero debole verso lidi xenofobi e violenti, dove gli egoismi la fanno da padrone. Riportare il dialogo ad un livello umano appare sempre più difficile ed è oramai una questione di resistenza, dove da una parte ci sono i movimenti antirazzisti, parte della Chiesa, alcune piccole fette di società civile e dall’altra tutto il resto del mondo che si arrampica su questioni legate ai temi della criminalità, dello spazio vitale per gli autoctoni, dell’impossibilità a gestire le emergenze, le famose ‘emergenze’… Gli incontri pubblici da parte di quanti, come noi di Arci, gestiscono i progetti SPRAR, si sono triplicati per avere l’occasione di spiegare le ragioni delle fughe, degli esodi di massa, spesso consequenziali a guerre, persecuzioni, assenza di investimenti statali in ambito economico. Possiamo continuare a ragionare su numeri e competenze geografiche, laddove ad ogni numero corrisponde un bambino, una donna, un uomo con il suo bagaglio di vita, affetti, dolori? Vogliamo smettere di parlare di tavoli tecnici per decidere chi accoglie chi, e vogliamo cominciare a parlare di tavolo etico globale? La situazione andrebbe evidentemente collocata in una prospettiva più ampia, dove le Nazioni Unite dovrebbero responsabilmente prendersi in carico uno sviluppo economico terrificante dove ad ogni azione di guerra corrisponde un grande interesse economico nazionale o sovranazionale, spesso a discapito di ambiente e salute umana. E da questo le fughe, che con l’aumentare dei conflitti divengono sempre più numerose e in assenza di scelte coraggiose, quali i corridoi umanitari, sempre più pericolose. Poi ci sono delle belle esperienze che danno la possibilità di accogliere e dare strumenti per ricominciare a vivere decorosamente in un paese diverso dal proprio e queste sono le principali caratteristiche dei progetti SPRAR che ancora oggi possono essere esempio per l’Europa e possono dare buone prassi da trasferire ovunque, insistendo sui piccoli numeri, in tanti paesi dove ancora la dimensione umana del rapporto fra simili è rispettata, nonostante le continue provocazioni razziste, privilegiando chi, come Arci, del lavoro sul disagio, sull’inclusione, sull’interazione sociale e culturale, ne ha fatto uno stile di vita.