Di Aldo Dessì, presidente Arci sud Sardegna.
Il Movimento nazionale Legge Rifiuti Zero ad aprile 2014, su iniziativa dei 250 soggetti che hanno partecipato alla raccolta firme per l’omonima legge di iniziativa popolare depositata in Cassazione a marzo del 2013, viene costituito come raccordo alle associazioni e ai coordinamenti regionali impegnati nella strategia Rifiuti Zero, per supportare le vertenze regionali e locali contro la costruzione di nuovi inceneritori e discariche e le comunità locali interessate, per vigilare sull’iter parlamentare della proposta di legge, e per sostenere tutte le iniziative che si propongano di realizzare una società basata sulla sostenibilità. La proposta di legge Rifiuti Zero intende introdurre nella normativa italiana – modificando la legge 152/2006 – una gestione dei rifiuti in linea con la direttiva quadro sui Rifiuti (2008/98/CE) della Commissione Europea e ribadita dalla risoluzione Gerbrandy, approvata dal Parlamento Europeo nel 2012 che «… chiede pertanto alla Commissione di presentare proposte entro il 2014, allo scopo di introdurre gradualmente un divieto generale dello smaltimento in discarica a livello europeo e di abolire progressivamente, entro la fine di questo decennio, l’incenerimento dei rifiuti riciclabili e compostabili; … invita la Commissione a rivedere gli obiettivi per il riciclaggio per il 2020 della direttiva quadro sui rifiuti….». Che significava l’addio, entro il 2020, a qualsiasi forma di incenerimento dei rifiuti e alle discariche, per puntare al recupero di materie per il 95%, essendo unanimemente considerato irrecuperabile il 5% dei rifiuti raccolti. È utile ricordare che la direttiva citata stabilisce la gerarchia nelle priorità di gestione dei rifiuti: riduzione della produzione dei rifiuti, riuso dei beni a fine vita, riciclaggio, recupero diverso dal riciclaggio (energia o materie), smaltimento in sicurezza. Tale gerarchia viene recepita nel nostro Paese dal D. Lgs 205/2010. Tutto bene, quindi? Non proprio. Lo stesso decreto infatti dà vita ai Combustibili Solidi Secondari (CSS) che nascono accorpando i vecchi CDR (evoluzione delle ecoballe) ai CDR-Q (sempre ecoballe, ma di alta qualità!). È questa la bacchetta magica che trasforma in ‘fonti rinnovabili’ che godono degli incentivi pubblici (ma a carico di tutti i cittadini) le plastiche, i copertoni, gli scarti in gomma e quelli del tessile e del calzaturiero, oltre a non meglio precisate frazioni secche combustibili. Nel frattempo la Commissione UE predispone una bozza di direttiva sull’economia circolare che prevede il vincolo del riciclaggio del 70% dei rifiuti urbani entro il 2030, dell’80% degli imballaggi e del divieto di smaltimento in discarica dei rifiuti riciclabili entro il 2024. Passare da una economia basata sulla proprietà ad una basata sull’uso dei beni (sharing economy); da una i cui beni nascono ad ‘obsolescenza programmata’ per una rottamazione la più rapida possibile ad una i cui beni si aggiustano/ricondizionano/riusano e comunque non si buttano mai; da una economia in cui una maggiore crescita richiede un sempre maggiore utilizzo di materie prime ad una in cui una maggiore crescita economica è facilitata dal minore utilizzo possibile di materie prime e di risorse. Si tratta di un cambio radicale di paradigma. Questi sono i principi cardine dell’economia circolare, su cui però il Parlamento europeo e la Commissione Junker sembrano voler fare retromarcia. Impedire questo passo indietro e incalzare per la realizzazione di questi principi è l’obiettivo che un primo gruppo di organizzazioni si è posto promuovendo la costituzione di ACE (Alliance for Circular Economy) l’Alleanza per l’Economia Circolare e che il prossimo 26 settembre a Roma terrà la sua prima iniziativa pubblica. Potremmo non esserci?