Diari di viaggio dalla Carovana in Veneto

A cura della carovaniera Alessandra Cavallaro.

A Treviso per denunciare lo scandalo del Mose.

Nel salone dei Trecento a Treviso, per la tappa della Carovana Antimafie, si tiene la presentazione del libro di Renzo Mazzaro, un’inchiesta sullo scandalo del Mose venuto fuori «grazie al coraggio di imprenditori infiltrati». E meno male, perché esiste, al contrario, una classe imprenditoriale che si è fatta comprare. «Con il Mose è crollata un’intera classe dirigente. È una voragine che inghiotte amministratori pubblici, politici, parlamentari, ex ministri, imprenditori, tecnici, avvocati, magistrati, giudici, generali. L’inchiesta più lunga sulla corruzione nel Veneto, con l’importo più alto di tangenti mai raggiunto in Italia, dimostra con prove schiaccianti che il Mose, l’opera mastodontica progettata per fermare l’acqua alta, è costruito su una montagna di mazzette e di sprechi. Ma per ‘far fuori’ un miliardo di euro non basta essere voraci, bisogna sentirsi onnipotenti. E infatti due onnipotenze gestivano il grande affare del nuovo secolo: quella tecnica del Consorzio Venezia Nuova e quella politica articolata per centri di potere fino ai più alti livelli dello Stato.» L’inchiesta giornalistica di Mazzaro tenta di capire come si è arrivati a questo punto e, soprattutto, se è possibile uscirne. Dalle carte dell’inchiesta è piuttosto chiara non solo la posizione di chi governava, ma anche quella di una classe imprenditoriale collusa. «Però qui in Veneto del Mose non si parla. Si parla dello scandalo Mafia Capitale, che ha mosso persino meno denaro, ma di ciò che è accaduto a Venezia no» è la critica che ha mosso giovedì sera l’autore. «Nelle campagne elettorali, si è parlato di tutto, in primis dei profughi, ma dell’inchiesta che ha detto la verità sul sistema corrotto del Veneto nessuno ne voleva parlare». Ma l’origine di tale male qual è? «Oltre ai due tipi di onnipotenza – spiega – c’è anche una terza cosa che ha permesso al sistema di diffondersi: l’abitudine che tutto è dovuto e che tanto si resta impuniti». Ma allora come se ne esce da tanto fango? «Dobbiamo sempre ricordarci che accanto a chi si faceva comprare – conclude – esiste una parte dello Stato che indaga, scova i criminali, e li arresta. Una parte dello Stato capace di individuare il cancro e di mangiarselo».

La rinascita di Villa Valente-Crocco, oggi casa della legalità.

270 metri quadri. Solo il piano terra. Un numero che deve essere moltiplicato per gli altri due livelli della villa Valente-Crocco. Un caseggiato imponente, perfetto, per far girare ‘i schèi’ (il denaro) del traffico di cocaina. Ma per fortuna non è stata la sua ultima ‘destinazione d’uso’. Salvaterra è una delle tappe venete della Carovana, cominciata in mattinata dalla piazza centrale di Rovigo, passata per la Ciclofficina di via Cavallotti, e chiusasi con un concerto in serata a Legnago. La villa patronale, con facciata dallo stile lineare e raffinato, ha probabilmente una primissima data di costruzione che risale alla metà del ‘600. All’interno due camini, un frontone superiore triangolare snello e proteso verso l’alto. Gioielli cancellati durante il restyling deciso da Francesco Ferrari, che ci ha speso, voci di paese, circa 2 miliardi per rimettere a nuovo la villa, costruendo un bunker sotterraneo che poteva contenere almeno dieci persone. Ma i soldi della droga sono serviti anche per il consolidamento statico dell’edifico, migliorie che lo hanno però protetto nel tempo dall’incuria nel quale si era cacciato. Dopo la confisca materiale del bene, nel 1995, solo nel 2003 il Comune di Badia Polesine si rende disponibile ad acquisire il cespite. Ma di traversie ce ne sono state tante, fino al giorno in cui Libera, insieme ad un gruppo di altre associazioni, decide di proporre all’ente un progetto per destinare la villa a finalità sociali. Nel 2014 arriva il finanziamento al Comune per realizzare il restauro e il risanamento conservativo che prevede il recupero del piano terra della villa, da adibire a sede permanente di centri di servizio culturale e dell’associazionismo. L’intervento si è concluso quest’anno. Ora il caseggiato è una vera e propria startup all’interno della quale si muove un continuo balletto di idee, dall’orto botanico alla coltivazione di piante medicinali, per quanto riguarda il terreno esterno; teatro, piccole proiezioni cinematografiche, centro di accoglienza per i locali interni. È una creatura nuova villa Valente-Crocco, e come tutte le nuove ‘rinascite’ ha bisogno di capirsi, pesarsi, strada facendo. «Veniva chiamata la casa del mafioso, oggi è la Casa della legalità. Sapete cosa vuol dire? Che il mal tolto può essere restituito». I volontari che hanno ripulito il bene confiscato, sono convinti che si possa passare «da coltivare traffici illeciti a coltivare menti». Nello stesso luogo, solo destinandolo al buono, strappandolo definitivamente a chi col brutto ci campava.