Un primo bilancio da Venezia

Di Alfredo Salomone, presidenza Ucca.

Dopo una settimana di proiezioni si può cominciare a fare il punto sull’edizione 72 della Mostra Internazionale del Cinema di Venezia. Nel concorso finora raccoglie i maggiori consensi di pubblico e critica Francofonia di Aleksander Sokurov. Il rapporto tra il nobile nazista Metternich ed il Direttore del Louvre che permise di salvare molte opere d’arte esposte nel Museo parigino, consente di allargare il discorso al ruolo salvifico dell’arte nella cultura. Ancora una volta la proiezione è in 4\3. In chiave Leone giocherebbe a suo sfavore la considerazione che ha già vinto il Leone con il Faust nel 2011. Il tema della bellezza e dell’arte, al centro del discorso del Maestro Russo, è stato anche trattato per aspetti diversi in Marguerite di Xavier Giannoli, che vede l’ottima interpretazione di Catherine Frot, candidata principale alla Coppa Volpi. La baronessa Dumont è letteralmente stonata ma si illude di avere le capacità vocali di un soprano. Immersa nella sua illusione, arriva a sfidare la sorte con un’esibizione pubblica in un concerto che la espone al ludibrio della ‘buona società’ francese degli anni Venti. Il tragico epilogo le dona una luce diversa nel giudizio comune. Altro tema trattato in questa Mostra è stato quello delle vite ai margini, declinato alle diverse latitudini. Dal tibetano Tarlo, pastore che conosce a memoria il discorso di Mao Servire il popolo, che avrebbe fatto la felicità di tanti intellettuali italiani che militarono nella omonima formazione politica, tra i quali Marco Bellocchio, a Madame Courage dell’algerino Allouache, a Equals in cui Kristen Stewart e Nicholas Hault hanno ancora dei sentimenti in una società futuristica orwelliana fino all’opera, quasi postuma, di Claudio Caligari Non essere cattivo, ambientata nell’Ostia del 1995, continuazione ideale di Amore tossico con un finale di parziale speranza per l’esistenza del sottoproletariato urbano. Sempre di una vita ai margini parla anche Viva la sposa di Ascanio Celestini, il cui protagonista vive tra il cantinato e un bar sulla Tuscolana. Più politici nello svolgimento e nei temi sono stati El clan di Trapero, che tratta molto bene la storia vera di un ex agente dei servizi di sicurezza argentini ai tempi della dittatura che, con il beneplacito dei suoi superiori e l’aiuto della famiglia, rapisce elementi della borghesia a scopo estorsivo, mascherandole come azioni dell’opposizione armata. Così come Rabin, l’ultimo giorno sull’attentato mortale al leader israeliano, con cui Amos Gitai torna ad esprimersi ai livelli che sembravano abbandonati nelle ultime opere. Anche il turco Abluka (Follia) di Alper parla della pressione e del controllo della società turca da parte dei militari che causa l’esplosione della follia di due fratelli. Controversi i pareri su due film italiani in concorso: A bigger splash di Guadagnino e Sangue del mio sangue di Bellocchio. Entrambi riescono a vanificare gli aspetti positivi delle loro opere con elementi ridicoli, come il carabiniere di Guzzanti, fan sfegatato delle rock star Tilda Swinton, o ovvi come le due sorelle cattolicissime che si fiondano sul giovane cavaliere che ospitano. Infine, in questo breve ed incompleto excursus, si segnalano delle realizzazioni diverse come il film di animazione in stop motion Anomalisa di Kauffman, che finalmente dà una sessualità ai personaggi animati, e il divertente Pecore in erba esordio ironico di Caviglia. In attesa delle decisioni delle giurie e della distribuzione dei film visti, per il momento è tutto da Venezia.