L’Arci Toscana in Iraq, un progetto che è una piccola rivoluzione

Di Carla Cocilova, Internazionali Arci Toscana.

Quando nel 2013 Arci Toscana, insieme a Un ponte per e a una rete di enti locali dell’area pisana, decise di presentare un progetto sull’inclusione dei giovani appartenenti alle minoranze in Iraq, sembrava essere uno dei tanti progetti di cooperazione internazionale dell’associazione. L’Unione Europea lo finanziò, individuando nella realizzazione di centri giovanili aperti a tutti la volontà di affrontare il principale nodo non risolto: la separazione e i conflitti tra i diversi gruppi etnici e religiosi. Per facilitare l’interazione fra gruppi e regioni diverse il progetto doveva avere luogo in 5 località, alcune città del Kurdistan curdo, ma anche importanti centri come Mossul e Sinjar. Il progetto inizia ufficialmente nel gennaio 2014 e subito vengono organizzati scambi tra ragazzi e ragazze per individuare i bisogni e programmare alcune attività nei centri. Sono sunniti e sciiti, yazidi, cristiani e ka’ak e parlano di promozione culturale, non violenza, peace building, attività sportive («anche per le donne mi raccomando!»). A noi per cui l’Iraq è sinonimo di guerra e conflitto, quei report sembrano dire che le cose stanno cambiando davvero. Arriva però il terribile agosto 2014 e tutto sembra finito. Il Daesh, l’esercito islamico, occupa Mossul, Sinjar e altre città, i nostri partner stanno bene, i ragazzi anche, ma sono dovuti fuggire e hanno visto cose terribili, hanno perso tutto. Molte delle persone coinvolte non vogliono più avere a che fare con gli altri gruppi, devono pensare «ai loro», molti non hanno un rifugio e il trauma è troppo grande. Siamo tornati indietro di anni, tutto il lavoro fatto per il dialogo ha subito un duro colpo. Dobbiamo decidere cosa fare del progetto. La maggior parte degli sfollati interni si è rifugiata nel Kurdistan iracheno, per cui decidiamo di far base ad Erbil, dove si trovano anche i partner yazidi e cristiani e l’associazione che faceva da riferimento a Mossul: lavoriamo con gli stessi principi e con le stesse persone, ma in un posto diverso. Proviamo a cercare luoghi in cui i ragazzi possano organizzare attività ricreative e culturali, partecipare, fare formazione, perché, se un giorno torneranno a casa, si portino comunque dietro un bagaglio speciale. La nostra prima attività è una formazione specifica sulla gestione del conflitto, la rabbia e il senso di vendetta, il peace building. È una formazione molto partecipata, serve a creare due gruppi, uno ad Erbil e uno nella città di Dohuk. Si chiamano ‘Circoli della pace’ e iniziano subito a fare attività nei campi degli sfollati. La scorsa settimana una delegazione di Arci Toscana e Unione dei Comuni della Valdera, altro partner del progetto, si è recata in Iraq per inaugurare i due centri. Il governo del Kurdistan ha messo a disposizione due centri giovanili governativi. Abbiamo partecipato a due feste organizzate in contesti molto complessi, uno dei due centri si trova proprio al centro di un accampamento di sfollati, in questo caso siriani. Ci diciamo più volte con i ragazzi quanto vorremmo che i centri diventassero luoghi aperti, in cui ognuno si sentisse partecipe di un progetto comune, che parli un linguaggio diverso da quello della guerra e della violenza, che sia una speranza per la costruzione di un nuovo Iraq e di un nuovo Medio Oriente. Questo pensano i giovani iracheni che abbiamo conosciuto, sono coraggiosi e rivoluzionari ed è dovere di un’associazione come l’Arci stare al loro fianco.