Sul Medio Oriente un assordante silenzio

Di Grazia Moschetti, Arci Puglia.

24 settembre, Mosca. Recep Erdogan e Mahmoud Abbas siedono uno di fianco all’altro alla cerimonia inaugurale della moschea più grande della Russia. Alla vigilia del Eid al-Adha, Vladimir Putin incorona Mosca luogo del dialogo interreligioso e della tolleranza, culla dell’islam illuminato che rifiuta il terrorismo. Solo poche ore prima il premier israeliano Nethanyau delineava accordi di cooperazione militare con Putin. Un gran via vai insomma: verrebbe da chiedersi se le influenze moscovite sulle questioni mediorientali stiano prendendo profilo di fronte al silenzio europeo e alla suo eco statunitense, o se come scriveva quest’estate Sayed Kashua, «valga la pena di prendersi una pausa fino all’arrivo della pace». Di sicuro più d’uno in Europa se l’è concessa: di fronte alla violenza degli ultimi mesi a Gerusalemme Est ad opera di gruppi organizzati di ebrei ultranazionalisti, la narrazione degli scontri iniziati la notte del 12 settembre è ferma al dialogo tra religioni. Una lettura imbarazzante, che non tiene conto delle strategie della destra oltranzista israeliana, che ha sempre più voce nelle scelte politiche attraverso membri eletti nelle fila del Likud: dalla proposta di revisione delle leggi da parte delle autorità religiose ebraiche prima della loro approvazione alla proposta del ‘Ministro degli esteri delle Colonie’ Dani Dayan ad Ambasciatore in Brasile, solo per citare gli ultimi esempi. Quando lo scorso 8 settembre il Ministro della difesa Moshe Ya’alon ha firmato il decreto con cui si bandivano i Murabitoun e le Mourabitat a difesa della sacralità della moschea Al Aqsa, era già nota l’evoluzione dell’ennesima misura di sicurezza ‘straordinaria’: chiamata di riservisti e dispiegamento di cecchini autorizzati ad aprire il fuoco, inasprimento delle leggi contro lanciatori di pietre e molotov, provvedimenti contro i genitori di minori che partecipano a manifestazioni di protesta. A fronte di un’ulteriore limitazione della libertà personale per i palestinesi e all’auto-isolamento degli israeliani, con i negoziati bloccati da un terzo elemento in causa di cui Abu Mazen parla senza rivelarne l’identità durante la visita a Parigi, mi chiedo se dovremmo concentrarci su questi presunti segreti o se possiamo vedere la forza del possibile nel sì alla bandiera palestinese a Washington. A patto, però, che non ci si strugga a farla diventare una bella cartolina per nipoti.