Ingrao e l’Arci: un filo che non si spezzerà mai

Di Luciana Castellina, Presidente onoraria Arci.

Quando Tom mancò Pietro Ingrao aveva già quasi novant’anni. Ma ci tenne ad essere anche lui lì quella triste mattina in cui ci ritrovammo in tantissimi, e diversi, nel salone di via Monti di Pietralata dove al presidente dell’Arci demmo l’ultimo, accorato saluto. Essere venuto fino a lì non era, per il vecchio dirigente del PCI, un atto dovuto. Era una scelta che nasceva, io credo, da una consonanza profonda con Tom, umana più che politica, o meglio per il modo, umanissimo, che gli era comune, di vivere la politica. Nonostante le evidenti differenze di biografia generazione ruoli e cultura c’era, fra i due, questo ‘comune’: il pensare alla politica come fatto collettivo, come – innanzitutto – relazione con gli altri, e dunque comprensione. Penso al Tom del ‘lampadiere’, che fa luce all’indietro perchè anche gli ultimi vedano, e non davanti a sè per emergere e meglio competere. Non si tratta di un dettaglio. Soprattutto per l’Arci. Ed è per questo che la figura di Pietro Ingrao ci riguarda da vicino. Quando l’ex presidente della Camera dei Deputati scriveva che «il voto non basta», intendeva dire che la democrazia è cosa assai più ricca e complessa, che è fatta di trasformazione del popolo – tutto il popolo, non solo delle sue élites – in soggetto consapevole, in protagonista, in ‘sovrano’, come diceva Gramsci. Per poter non solo recarsi alle urne ma deliberare. Indurre questa trasformazione significa costruire una democrazia organizzata come componente necessaria a dar senso alla rappresentanza politica delegata. Qualcosa di assai diverso dalla semplice ‘società civile’, che di per sè può finire per essere solo un informe aggregato di individui, o l’espressione di una molteplicità di proteste ma di deboli progetti, fatalmente subalterna all’egemonia del potere. Ebbene cosa è l’Arci se non proprio questo tentativo di costruire nel paese una democrazia organizzata che dia contenuti al voto, che corregga gli abusi del potere? In questo senso l’Arci è un organismo politico; e poco senso ha la diatriba su cosa debba prevalere nell’attività dei circoli, se lo svago o il volontariato, se il movimento o la protezione sociale. Il punto sta nel come ciascuna di queste cose viene fatta: se è solo per appagare bisogni individuali oppure con la consapevolezza di costruire, per l’appunto, quella componente essenziale della politica che è la democrazia organizzata. E cioè quanto assillava Ingrao, cosciente della crisi dei partiti politici tradizionali e tuttavia convinto della necessità di trovare forme stabili di espressione della società, esperimenti di autogoverno. Vorrei dire, in conclusione, che per l’Arci il lutto per la morte di Pietro Ingrao non è un lutto qualsiasi. Non basta piangerlo, bisognerebbe lavorare ancora sulle cose che ha insegnato (che per certi versi significa anche tener viva la memoria di Tom, che è stato – nella sostanza – un ‘ingraiano doc’).