La pace come progetto politico per opporsi alla guerra

Di Franco Uda, coordinatore nazionale Pace, solidarietà e cooperazione internazionale.

Quando la forza delle idee cede il passo all’idea della forza c’è da preoccuparsi. Da diverso tempo non riecheggiavano, sia per bocca dei rappresentanti del Governo sia nei media, parole come «guerra», «attacco», «azione militare». Termini sinistri, che si addensano all’orizzonte come «lunghe nuvole nere» di dylaniana memoria. E, in uno scenario da tempesta perfetta, i signori della guerra si contendono gli assetti futuri del vicino oriente, ognuno con i suoi interessi. Da una parte la Federazione Russa, che pensa al futuro della Siria nel segno di una continuità alauita al governo; i suoi alleati sciiti, che cercano di cogliere l’attimo per un riequilibrio di potere nell’area contro i secolari nemici sunniti, rilanciati anche dallo sdoganamento internazionale dell’Iran dopo l’accordo nucleare con gli Usa; tutto in nome di un’offensiva contro daesh, pazienza se poi qualche bomba cadrà sulle teste dell’opposizione siriana o sui tanti civili in fuga dall’Is e dalla guerra civile. Dall’altra una coalizione internazionale a guida Usa, desiderosa di mettere le proprie bandierine su quegli Stati, sulle loro preziose risorse del sottosuolo, sulle commesse economiche e commerciali che seguiranno; «l’Iraq ce lo chiede» – dicono – in nome della pacificazione dell’area e contro i nemici dell’occidente. Tutti comunque d’accordo per l’unico grande interesse che muove le guerre, lucidamente denunciato anche dal Papa: la produzione e il commercio delle armi. Alcuni esponenti del nostro Governo, un po’ spinti dai rumors di una possibile riduzione delle spese militari nella prossima finanziaria, un po’ tirati per la giacca dagli alleati atlantici che chiedono maggior impegno se si vuole successivamente partecipare ai tavoli della spartizione, sono intimamente attratti dall’intervento armato dei nostri Tornado, gli stessi aerei messi in pensionamento perchè ormai vecchi per essere sostituiti dai più nuovi (e costosi) F35. Con buona pace del nostro dettato costituzionale e della politica estera dell’Ue, vittima sacrificale preferita tanto dalla grandeur di iniziative unilaterali dei suoi Stati fondatori quanto dalla Nato. Ma, quale che sia l’esito della discussione parlamentare e la decisione del nostro Governo, non possiamo dimenticare né sottacere che lì, in Siria, in Kurdistan, in Iraq, la guerra c’è: muoiono i bambini, le donne e i vecchi, vengono devastate antiche e preziose vestigia di civiltà e di arte, si infrangono i desideri e i sogni di vita, le speranze di libertà e democrazia. E quando i sopravvissuti tentano di sfuggire a qualsiasi costo a tanta barbarie, di ricostruire per sé e per i propri figli una vita degna di questo nome nella civile Europa, cominciano un esodo epocale, preda dei trafficanti di uomini, trovando la morte o la Fortezza, fatta di politiche egoiste, di muri invalicabili, di coscienze assopite, di umanità indifferente o ostile. Come se non bastasse arriva anche qualche schiaffo amico da parte dei soliti soloni che si chiedono dove siano i pacifisti. Se costoro pensano di trovare qualche anima bella che si accontenta di organizzare fiaccolate o cortei, sappiano che noi continueremo a farle ma che questo non ci basta più: abbiamo imparato che «un mondo diverso è possibile» e ora vogliamo declinarlo, punto per punto, superando l’idea della pace come orizzonte culturale e riaffermando la stessa come progetto politico. Un progetto politico che ha il pregio di non essere stagionale, di non dover inseguire nessuna scadenza elettorale, di ‘volere la luna’ con i piedi ben piantati per terra. La nostra proposta di legge di iniziativa popolare, che ha raccolto oltre 50 mila firme, per l’istituzione di una difesa non armata e nonviolenta, la sperimentazione dei Corpi civili di pace, la pratica del Servizio Civile Nazionale, il monitoraggio della legge sul commercio delle armi, per citarne solo alcune, vanno in questa direzione. Eppure dobbiamo anche andare oltre: necessitiamo di un pensiero nuovo e più complesso, così come è diventata la realtà che dobbiamo affrontare; abbiamo bisogno di un surplus di approfondimento e di specializzazione e allo stesso tempo emerge sempre più chiaramente la necessità di interconnettere ambiti, vertenze e proposte che spesso vengono condotti separatamente, col rischio di una carenza della visione d’insieme.