Centri di servizio per il volontariato e legge di riforma del Terzo settore

Di Maurizio Mumolo, Reti di Terzo Settore e fondazioni.

Lo scorso 2 ottobre il Cesvot (centro servizi per il volontariato della Toscana) ha promosso un convegno per analizzare la situazione della legge di riforma del Terzo settore ora in discussione alla commissione Affari costituzionali del Senato. In questi mesi, su questo tema, si sono tenute numerose iniziative ma l’appuntamento di Firenze ha avuto un rilievo particolare data la presenza di diversi parlamentari (tra cui la relatrice alla Camera, Donata Lenzi) e del sottosegretario Bobba, oltre a numerosi presidenti nazionali di associazioni di volontariato e non. L’atto d’accusa lanciato da Federico Gelli, presidente del Cesvot e parlamentare lui stesso, è che i tanti emendamenti presentati al Senato oltre a mettere a rischio il percorso legislativo, stravolgono le caratteristiche dei CSV. Sul banco degli imputati il relatore al Senato, Stefano Lepri, che però non è stato nemmeno invitato al convegno. Le proposte da lui presentate in effetti introducono delle sostanziali modifiche nel sistema dei Centri. Innanzi tutto viene prevista una procedura di accreditamento che supera i vincoli territoriali; é introdotto il principio del «libero ingresso nella base sociale» con l’adozione di criteri democratici di governo; viene fatto divieto di erogare direttamente somme in danaro o beni mobili e immobili; è inserita l’incompatibilità tra ruoli di direzione nei Centri e l’assunzione di cariche politiche; a fronte dell’estensione dei servizi a tutte le forme di volontariato presenti nelle organizzazioni di terzo settore viene mantenuta una sorta di golden share a favore del volontariato delle OdV ex l. 266; vengono riorganizzati, infine, i Comitati di Gestione, snellendoli e confermando i rapporti di forza attuali (ma senza i rappresentanti di regioni e enti locali). A ben guardare, la proposta non presenta solo elementi negativi. É probabilmente poco condivisibile il superamento del vincolo di territorialità perché porterebbe alla creazione di un regime di concorrenza frammentando un’attività che fin’ora era stata gestita, nella maggioranza dei casi, con spirito unitario. Come pure è incomprensibile ed anacronistico basare la gestione sul volontariato della l. 266 quando è ormai noto che la maggioranza dei volontari operano nelle associazioni di promozione sociale. Tuttavia l’introduzione di requisiti di democraticità e apertura della base associativa è sicuramente apprezzabile. Come pure l’adozione di norme che neutralizzino possibili conflitti di interesse. O il divieto di effettuare erogazioni economiche che, sommate all’attività di servizio e a quella di certificazione (anch’essa di nuova introduzione), produrrebbero un pericoloso corto circuito. É’ questo anche il parere della gran partedegli intervenuti, a partire dall’On Lenzi che, pur non lesinando critiche ad alcuni emendamenti, ha apprezzato l’introduzione del principio delle ‘porte aperte’. Anche i presidenti delle associazioni di volontariato (Anpas, Avis, Misericordie) hanno sottolineato questi aspetti positivi. Il ragionamento è un po’ questo: i Csv sono ancora uno strumento innovativo nella promozione del volontariato italiano, molto importante per il suo sviluppo e radicamento in tutto il territorio. Dopo un’esperienza ventennale è ora di introdurre un aggiornamento della loro organizzazione che possa coniugare democraticità di gestione ed efficacia dell’iniziativa. Le resistenze di molti Csv che hanno mantenuto una struttura chiusa e impermeabile vanno superate. Come pure è necessario garantire pari dignità a tutto il volontariato. La parte maggioritaria dei volontari (dice il censimento Istat) è impegnato in attività culturali e ricreative. É’ giusto che abbia gli stessi diritti e si assuma le stesse responsabilità di quello impegnato sulle tematiche socio-assistenziali.