Dove sono finiti i pacifisti? Eccoci! (e siamo in tanti…)

L’Assemblea dei Presidenti dei comitati territoriali dell’Arci – una rete di oltre 110 presidi locali presenti in tutte le Regioni, a cui fanno capo circa 5.000 circoli e ben più di 1 milione di soci – riunita a Roma i giorni 10 e 11 ottobre, esprime la propria apprensione per le tensioni internazionali, la recente escalation militare e i possibili scenari futuri nell’area del vicino oriente. Le dichiarazioni fatte da autorevoli esponenti del Governo italiano riguardo un possibile coinvolgimento diretto della nostra aviazione militare nei combattimenti già in atto nel nord dell’Iraq ci preoccupano per le conseguenze sulla vita dei civili e per l’efficacia stessa che tale azione di forza potrebbe sortire. Siamo parte di un vasto campo di associazioni, movimenti, organizzazioni pacifiste, società civile, che, oggi come nel passato, non si rassegna alle scorciatoie militari e crede fermamente che la risoluzione dei conflitti e delle controversie internazionali debba trovare nella politica e nella diplomazia la soluzione più equa: abbiamo la Storia e la ragione dalla nostra parte. Abbiamo sempre evidenziato le possibili azioni alternative alle guerre e ai conflitti armati attraverso campagne, proposte di legge, riforme, che costituiscono, nel loro insieme, una visione differente delle relazioni tra i popoli e gli Stati, coerentemente alla Dichiarazione universale dei Diritti Umani. Nei prossimi giorni ci impegniamo a promuovere, assieme alle tante associazioni e gruppi che sappiamo condividere con noi la stessa reazione all’annuncio del coinvolgimento dell’Italia nell’azione bellica in medio Oriente,una mobilitazione che contrasti l’ennesima trasformazione della politica in guerra. L’Isis è un nemico orribile, ma riusciremo solo a moltiplicare formazioni di questo tipo se anzichè usare le armi non riusciremo ad aiutare i popoli di quella regione ad acquisire il protagonismo necessario a costruire un’alternativa. Dobbiamo chiedere che l’Europa smetta di presentarsi come portatrice di una superiore civiltà e riconoscere, invece, che è, purtroppo, largamente per colpa del vecchio colonialismo europeo e dell’arroganza americana che questa parte del mondo è stata dilaniata, che nazioni che non esistevano sono state create lungo confini che convenivano a chi aveva interesse ad aver mano libera sul petrolio, che con i nostri interventi militari abbiamo creato un caos di cui ora non sappiamo venire a capo. Ripetere un’azione bellica non farebbe che aggravare i mali già esistenti. Un’azione tanto più odiosa in quanto operata a fianco di alleati indecenti: l’Arabia saudita che condanna a morte un ragazzo solo perchè ha partecipato ad una manifestazione; la Turchia che anzichè bombardare l’Isis bombarda i kurdi, Israele dove è ripartita un’ennesima ondata repressiva. Il pacifismo non vuole dire voltarsi dall’altra parte per non vedere l’orrore dell’Isis; nè significa ignorare i drammi. Si tratta di perseguire finalmente un diverso modo di intendere la politica internazionale: un modo più civile, meno medioevale che il ricorso alle armi. Sarà la nostra migliore risposta civile e democratica a chi si chiede oggi, in maniera pretestuosa, dove siano finiti i pacifisti.